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Gaetano Donizetti, Lucia di Lammermoor
★★★☆☆
Londra, Royal Opera House, 25 aprile 2016
(live streaming)
Lucia di Horrormoor
Katie Mitchell, che aveva realizzato l’indimenticabile messa in scena di Written on Skin e l’anno scorso ad Aix-en-Provence aveva visualizzato con genialità gli amori dell’Alcina händeliana, ora affronta a Londra un’opera di repertorio qual è la Lucia di Lammermoor di Donizetti e lo fa ovviamente a modo suo. Già un’altra regista, Mary Zimmerman al MET nel 2009, aveva spostato l’ambientazione all’epoca vittoriana, ma qui la Mitchell vede la vicenda come un caso dell’allora emergente femminismo (una donna che rifiuta un matrimonio di interesse) rintracciabile non tanto nell’opera dello Scott da cui è tratto il libretto di Cammarano, quanto nei romanzi coevi di Jane Austen, Mary Anning e delle sorelle Brontë.
Assieme a Vicki Mortimer, che ha disegnato il Victorian Gothic della scenografia, la Mitchell ha l’idea di illustrare anche i buchi narrativi della vicenda e tutto si svolge in due ambienti distinti e adiacenti: la cripta con le tombe e il salotto di Lucia, la sua camera da letto e la stanza da bagno e così via.
Ancora una volta in un suo spettacolo la scena si divide in più parti per realizzare una contemporaneità di azioni di cui in verità qui non si sente sempre la necessità. Nel suo zelo di realismo la Mitchell ci fa vedere quello che né la musica né il libretto del Cammarano prevedono e questa sua regia è sintomatica, molto più di tante altre, apparentemente più scandalose, del predominio della drammaturgia scenica su quella musicale.
A parte alcune scene rese in maniera indiscutibilmente magnifica, come quella del matrimonio e l’utilizzo della follia, ci sono nel suo allestimento due momenti a vario modo discutibili invece: il primo è il rapporto sessuale durante il duetto di Lucia ed Edgardo, una sveltina a fianco della tomba della madre, apparentemente inutile, ma che avrà le sue conseguenze; l’altro è quello dell’uccisione di Arturo che, nonostante gli sforzi congiunti di Lucia e di Alisa, non ne vuol sapere di morire ammazzato, una scena splatter di una comicità irresistibile che avviene nella stanza a sinistra mentre contemporaneamente a destra i due uomini discutono vanamente di onore e duelli.
Nella visione femminista della Mitchell la vicenda è nettamente distinta tra universo maschile e universo femminile, quest’ultimo rinforzato dalla presenza di ben due fantasmi: quello dell’ava che «un Ravenswood, ardendo di geloso furor […] trafisse» e quello della «madre di recente estinta». Dopo la suddetta scena dell’uccisione dello sposo portata avanti con lucida freddezza, la “pazzia” di Lucia viene giustificata da un accadimento che solo una regista donna poteva inventare: dopo l’amplesso nella cripta Lucia è infatti rimasta incinta e durante l’omicidio di Arturo ha un’emorragia il cui sangue copioso si mescola a quello dell’uomo così faticosamente ammazzato. E così si presenta agli sbigottiti uomini che stanno festeggiando gli sponsali. Tra questi c’è il “fantasma” di Edgardo con cui Lucia si unisce in un immaginario matrimonio tra i dolori lancinanti dovuti all’aborto spontaneo – così si spiegano i vocalizzi in cui indulge Lucia.
In questa scena ascoltiamo gli spettrali suoni della glasharmonica, opportunamente recuperata dopo tanti flauti che hanno sostituito l’originale strumento previsto da Donizetti. Una glasharmonica di veri bicchieri, non le coppe coassiali rotanti di cristallo dello strumento comunemente utilizzato, suonata da un vero esperto. Qui la rarefazione della partitura letta da Daniel Oren è magistrale, ma altrove l’orchestra ha un tono bandistico e sgraziato, pesante e non sempre rispettoso del canto degli interpreti in scena.
Nel tempo Lucia è passata dall’essere un’opera per tenore (l’originario mitico Duprez) all’opera per soprano per antonomasia, grazie a figure come la Melba e la Sutherland, fra le tante. Qui abbiamo una Damrau in grande spolvero e con una capacità attoriale che farebbe sfigurare più di un’attrice di prosa. Colorature espressive, acuti luminosi, fiati e fraseggio, tutto è praticamente perfetto. Di fianco a lei sembrano meno all’altezza l’Edgardo di Charles Castronovo e Ludovic Tézier, vocalmente impeccabili ma con presenza scenica più modesta, soprattutto l’impacciato baritono marsigliese. Ottima la prestazione del “buon” Raimondo di Kwangchul Youn per il quale è stata ripristinata l’aria della prima parte spesso tagliata in passate produzioni.
In conclusione, si è trattato di uno spettacolo di notevole interesse e impatto: con le sue scelte registiche la Mitchell ha voluto ripetere lo scandalo che aveva avuto 180 anni fa la vicenda di amore e morte della sfortunata “bride of Lammermoor”. La tensione non lascia mai lo spettatore che abbandona il teatro con un ricordo indelebile di quello che ha visto e ascoltato. La recitazione è quanto di più intenso ed efficace si sia visto in scena ultimamente e musicalmente si sono raggiunte qui delle vette difficilmente superabili. Lo sta a dimostrare l’attenzione del pubblico londinese che, nonostante lo scandalo preannunciato, non ha reagito con le intemperanze che avevano invece accolto il peraltro bellissimo Guillaume Tell dell’italiano Michieletto. Forse neanche nell’isola di Albione è assente un certo sciovinismo.
Nella prossima produzione torinese di Lucia – affidata per la regia a Damiano Michieletto – avremo nuovamente il sommo piacere di ascoltare Diana Damrau, ma ahimè per una sola delle recite in cartellone.
Il faticoso assassinio di Lord Arturo
⸪