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Nikolaj Rimskij-Korsakov, Sadko
★★★☆☆
Gand, Koninklijke Vlaamse Opera, 20 giugno 2017
(video streaming)
Continua la riscoperta dell’operista Rimskij-Korsakov
Come in una casa di oggi con il televisore sempre acceso, sullo schermo posto di sghimbescio nel nero vuoto della scena, immagini di guerra si alternano a quelle di una partita di calcio, quando il coro inneggia alle glorie di Novgorod. Seguiranno altre immagini in bianco e nero di nuvole, della Luna, di consumismo e tant’altro ancora. Assieme al palcoscenico ricoperto di terra nera è l’unico elemento previsto dalla scenografia di Annette Murschetz per questo allestimento dell’Opera Vlaanderen. La settima opera di Nikolaj Rimskij-Korsakov si aggiunge al Gallo d’oro della Monnaie, alla Fanciulla di Neve di Parigi, alla Sposa dello zar di Berlino e alla Leggenda della città invisibile di Amsterdam in questa recente riscoperta dell’operista russo tanto popolare in patria quanto poco esplorato nel passato qui in occidente.
La vicenda del cantore Sadko, che sogna per il lago Ilmen uno sbocco al mare tramite un fiume per rendere il suo paese più prospero, viene trattata dal regista americano Daniel Kramer secondo il cliché dell’attualizzazione a tutti i costi e con un realismo che fa perdere sia il tono favolistico della storia sia l’elemento marino (anzi, qui c’è solo terra) sia quello onirico senza sostituirli con un konzept convincente che giustifichi l’operazione. Una scelta del tutto opposta a quella della lettura iper-tradizionale fatta a San Pietroburgo con il Sadko diretto da Gergiev nel 1994 cui ricorrere per capire qualcosa della vicenda.
Che i borghesi di Novgorod siano bevitori trucidi e violenti affondati nei loro sofà a guardare ipnotizzati lo schermo televisivo, che Nežata diventi una cantante jazz, che lo stesso Sadko si presenti come un Tom Jones in camicia con le ruches e il microfono in mano, tutto questo non riesce a dare un senso alla favola russa. Che poi il protagonista rimanga in mutande e t-shirt macchiate di sangue, calzini sporchi e con un piumone ammuffito per la maggior parte dei sette quadri su cui si articola il lavoro, non è di aiuto alla definizione del personaggio né tantomeno al godimento dello spettacolo. Anche il momento del racconto dei tre viaggiatori qui perde il suo fascino diventando la pubblicità di tre agenti turistici.
I colori wagneriani della partitura – non solo colori: gli echi tematici e strumentali che rimandano al Ring sono frequenti – sono magistralmente portati alla luce da Dmitri Jurovski che concerta un cast di buon livello e un coro sempre attento. Protagonista è il tenore georgiano Zurab Zurabishvili di generosa vocalità, ma la parte è lunghissima e impegnativa e la regia non ha fatto molto per aiutarlo, anzi. Brave le interpreti femminili di Volchova (Betsy Horne), Ljubava (Victoria Yarovaya) e Nežata (Raehann Bryce-Davis). Dei tre mercanti d’oltre mare si fa notare per eleganza l’“indiano” (Adam Smith) mentre il glorioso Anatoli Kotscherga mostra ahimè la corda come Re del Mare con bassi sfiatati e acuti traballanti.
Nel finale una frattura (il fiume?) si apre nel terreno e separa le due donne dagli altri. Nel frattempo Sadko, sempre in mutande, aveva ammazzato Volchova (!) e seppellito il microfono. «Le minacciose nubi sono sparite ed è tornato il sole» si canta ottimisticamente, ma la scena è sempre immersa nel buio e un cielo nero e una Luna inquietante dominano in alto mentre gli stolidi abitanti di Novgorod festeggiano brandendo stecche di sigarette e altri prodotti del consumismo più becero. C’è da chiedersi che cosa abbia capito il pubblico dell’Opera di Gand che reagisce in maniera abbastanza tiepida al calare del sipario.

⸪