MITO

MITO Settembre Musica

Torino, Chiesa di San Filippo Neri, 5 settembre 2017

Michelangelo Falvetti, Il diluvio universale

La musica barocca italiana è quel pozzo senza fondo di tesori che, a dirla come don Magnifico, «più se ne cava | più ne resta a cavar». Non ultimo è questo, da poco riscoperto:  Il Diluvio Universale, “dialogo a cinque voci, e cinque stromenti, del signor Don Vincenzo Giannini” posto in musica da un altrettanto poco noto Michelangelo Falvetti (1642-1697) maestro della Real Cappella di Messina.

Oratorio, diremmo oggi, se non che all’epoca questo genere di musica «animato dalle sacre parole al fine di cantar le glorie, e lodi di Iddio in Santa Chiesa ad imitation del Cielo» era definito in cento modi diversi: historia, melodrama, cantata, dialogo, drama rhythmometrum… E “dialogo” è il termine che troviamo sia sulla partitura sia sul libretto a stampa datato 1683, alla fine della guerra civile che aveva contrapposto filo-spagnoli e anti-spagnoli nella spartizione della città di Messina.

Il Diluvio del Falvetti è una composizione di grandi dimensioni con un organico comprendente soli, strumenti e coro. Per la sua esecuzione nell’ambito di MITO-Settembre Musica non poteva essere scelto esecutore migliore, quel Leonardo García Alarcón a cui si devono, tra le altre, le brillanti esecuzioni delle opere di Cavalli negli ultimi anni (Il GiasoneL’ErismenaL’ElenaEliogabalo). Le scarne indicazioni del manoscritto vengono interpretate dal maestro argentino con una sapienza e una sensibilità che hanno incantato il pubblico torinese. L’opera del Falvetti gli offre il destro per una profusione di timbri affascinanti: dai tromboni barocchi (saqueboute) del prologo in cielo, al flauto dolce che accompagna il delizioso duetto di Noè con la moglie, alle percussioni e ai tamburelli della “tarantella della Morte” che segue lo stupefatto coro a 5 che contempla con dolore «naufrago il Mondo e la Natura estinta». Falvetti e il librettista ci risparmiano le imitazioni degli animali imbarcati sull’Arca per concentrarsi invece sui dialoghi tra Dio e Noè e tra Noè e la moglie – gli altri personaggi essendo la Giustizia Divina («Troppo, ah troppo soffersi | del mondo infellonito | l’indurata impietà ne’ cor perversi»), i quattro elementi, la Natura Humana e la Morte. In musica non mancano comunque effetti imitativi: la pioggia che inizia a cadere nella “sinfonia di tempeste”, o l’iridescente arco melodico che dipinge l’arcobaleno che si tende a conciliare il cielo e la terra («Ecco l’Iride paciera | in cui l’anime vagheggiano | la Divina humanità») su una melodia e un accompagnamento che sembrano provenire da quelle terre iberiche che avevano anche generato gli invasori.

L’arguto libretto presenta sorprendenti novità, come quando fa mancare la voce a quanti stanno per morire e la parola viene loro troncata in gola: «E chi mi dà aita? […] A l’onde | consegno la Vi… | Ahi perfida sorte | ingoio la Mor…». Il lato teatrale della composizione è stato adeguatamente sottolineato con l’ingresso dei solisti e del coro prima mescolati tra il pubblico o la figura della morte con falce e mantello nero. E validi  – Matteo Bellotto (Dio), Valerio Contaldo (Noè), Mariana Flores (Rad), Fabián Schofrin (Morte) – sono quelli che assieme al Choeur de Chambres de Namur e alla Cappella Mediterranea hanno ricreato questo capolavoro nascosto.

Dei 900 fortunati che hanno seguito il concerto ben pochi all’uscita non canticchiavano quell’«Ecco l’Iride paciera» offerta come bis assieme alla cantata bachiana Sehet, welch eine Liebe hat uns der Vater erzeiget BWV64 – a un pubblico entusiasta che non voleva saperne di andare via.

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