
Wolfgang Amadeus Mozart, Don Giovanni
Venezia, Teatro la Fenice, 20 ottobre 2017
(video streaming)
La furia distruttrice di Don Giovanni
Damiano Michieletto aveva allestito al Festival Mozart de La Coruña del 2006 un Don Giovanni un po’ particolare: il Dissoluto punito ossia Don Giovanni Tenorio del catalano Ramón Carnicer i Batlle. Poi a partire dal 2010 aveva presentato alla Fenice la trilogia dapontiana il cui primo allestimento fu questo Don Giovanni d.o.c. ora riproposto a chiusura della stagione lirica 2016-2017 del teatro veneziano. La sua lettura è l’elemento più interessante di questa ripresa.
Michieletto propone un Don Giovanni alle prese con le sue passioni nevrotiche e le sue pulsioni violente che investono tutti gli altri personaggi i quali diventano fantocci nelle sue mani. Nessuna coppia sopravviverà, neanche quella dei popolani Masetto e Zerlina, meno che mai quella di Don Ottavio e Donna Anna, la quale neanche finge di sopportare l’inetto fidanzato. Tutti cadranno a terra come marionette a cui hanno tagliato i fili. Il caotico avvicendarsi delle scene – questa sì che è un’altra “folle journée” – porta all’orgia finale (come nel suo Dissoluto punito) e dove il Commendatore più che personaggio dell’altro mondo è la materializzazione delle ossessioni del libertino, probabilmente nei confronti della figura paterna, ossessioni che esorcizza con una frenetica attività, non solo sessuale.
La macchina claustrofobica che stritola Don Giovanni e compagni è qui resa mirabilmente dalla geniale scenografia di Paolo Fantin: una struttura girevole che forma i diversi ambienti settecenteschi di un palazzo labirintico che ha il marchio della decadenza negli specchi anneriti dalle candele e nelle pareti damascate in un color verde che dà un tono di umido e ammuffito ai muri che immaginiamo sorgere dalle acque dei canali veneziani. Anche i bellissimi costumi di Clara Teti sono sontuosi, ma lisi, come se avessero dovuto sopportare scontri fisici di tutti i generi. Completano la geniale messa in scena le luci radenti di Fabio Barettin che con le loro ombre sembrano raddoppiare i personaggi. Accuratissima come sempre nelle regie di Michieletto la cura attoriale e le mille trovate talora sorprendenti come la bella scena tra Leporello e Donna Elvira del primo atto, o il rapporto tra Zerlina e Masetto, o il ballo in casa di Don Giovanni reso come un lugubre gioco di mosca cieca dopo che tutte le candele sono state spente.
Anche la direzione di Stefano Montanari ha un che di nevrotico, con ritmi secchi e nervosi che si alternano a momenti di rilassato abbandono, ma comunque il mai ortodosso maestro riesce a mantenere un buon equilibrio tra le voci e la fossa dell’orchestra. La versione da lui scelta è quella originale di Praga con l’aggiunta delle due arie dalla versione viennese «Dalla sua pace» e «Mi tradì quell’alma ingrata», come è prassi comune.
Due diversi cast si alternano nelle recite. In quella del 20 ottobre Carmela Remigio come nel 2010 è Donna Elvira. Il temperamento della cantante bilancia in parte il timbro non felice e l’emissione a dir poco peculiare del suono. La sua ultima aria («Mi tradì quell’alma ingrata») è resa in maniera quasi espressionistica mentre tutta la struttura scenografica ruota vertiginosamente a rispecchiare il suo delirante smarrimento. Francesca Dotto ha una voce un po’ troppo leggera per Donna Anna, ma è comunque intensa e precisa nel fraseggio. Deliziosa la Zerlina mai leziosa di Giulia Semenzato. Nel reparto maschile il ruolo del titolo è affidato ad Alessandro Luongo talora dai fiati un po’ corti ma con dizione espressiva e ben calibrata, sempre fisicamente infaticabile. Omar Montanari è un Leporello penalizzato dalla balbuzie imposta al suo personaggio (ma Alex Esposito nell’edizione originale era ben altra cosa…) e un Masetto particolarmente giovanile ma brusco è quello di William Corrò. Non sempre a suo agio l’inamidato Don Ottavio di Antonio Poli, così come il Commendatore di Attila Jun, anche lui già presente nella prima edizione ma qui con la voce più traballante.
⸪