Don Giovanni

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★★★★☆

Ancor più che nelle Nozze di Figaro i tesi rapporti sociali, che di lì a poco sfoceranno nelle ghigliottine issate dalla rivoluzione francese, nel Don Giovanni del 1787 sono portati a un passo dalla rottura. Mai come in quest’opera la contrapposizione tra servo e padrone (Leporello­–Don Giovanni e soprattutto Masetto–Don Giovanni) è stata così violenta.

Seconda delle tre opere italiane scritte per Mozart dal prete ex-ebreo Lorenzo Da Ponte (questa qui con l’aiuto di Giacomo Casanova), non ebbe il suo debutto a Vienna, ma in un’altra città di quell’allora enorme impero, in quello Stavovské Divadlo (Teatro degli Stati) sede oggi di spettacoli per i turisti che affollano Praga.

L’opera di Mozart è stata argomento di dissertazioni di filosofi e artisti, da Søren Kierkegaard a George Bernard Shaw, ma deriva da una lunga tradizione popolare che aveva avuto nel Burlador de Sevilla di Tirso de Molina (1625) la consacrazione letteraria, seguita poi dal Dom Juan di Molière (1665), dal Don Giovanni Tenorio di Goldoni (1735) e dal libretto del Bertati per il Don Giovanni di Giuseppe Gazzaniga andato in scena nel febbraio dello stesso anno 1787 a Venezia. (1)

Atto primo. È notte, nel giardino antistante la casa di Donna Anna. Leporello passeggia annoiato in attesa del padrone, che si è introdotto mascherato in casa di Donna Anna per farla sua. La tentata violenza però non riesce: Anna insegue il cavaliere cercando di scoprirne l’identità e viene poi soccorsa dal padre, il Commendatore, che sfida Don Giovanni a duello rimanendone mortalmente ferito. Compiuto il misfatto, Don Giovanni e Leporello fuggono. Rientra Donna Anna con un manipolo di servitori e scopre il cadavere del padre. Assistita da Don Ottavio, Anna fa giurare a quest’ultimo di compiere la sua vendetta. Frattanto Don Giovanni s’appresta a nuove conquiste: scorge di lontano una fanciulla tutta sola e le si avvicina, ma scopre con raccapriccio che è Donna Elvira, una nobile dama da lui sedotta e abbandonata pochi giorni prima che va cercando disperata d’amore il libertino e nello scorgerlo chiede ragione del suo comportamento: imbarazzato, Don Giovanni lascia al confuso Leporello il compito di giustificarlo e fugge. Il servo non può far altro che spiegare a Donna Elvira la natura del suo padrone e le fornisce un significativo cenno del catalogo delle sue conquiste. Elvira non si dà comunque per vinta. Poco oltre, un gruppo di contadini festeggiano le nozze di Zerlina e Masetto. Don Giovanni immediatamente si accinge alla seduzione della sposina e spedisce il recalcitrante Masetto a casa sua in compagnia di Leporello: restato solo con Zerlina, la invita a seguirlo e le promette di sposarla. La giovane contadina sembra cedere quando sopraggiunge Donna Elvira che la mette in guardia dalle arti malefiche di Don Giovanni e la porta via con sé. Sopraggiungono poi Donna Anna e Don Ottavio che chiedono a Don Giovanni di assisterli nella ricerca dell’empio uccisore del Commendatore. Ancora una volta, però, Donna Elvira esorta la nobile coppia a diffidare del cavaliere, che per contro accusa la donna di pazzia. Rimasta sola con Don Ottavio, Anna trasalisce: dalla voce ha riconosciuto in Don Giovanni l’assassino di suo padre, e spinge quindi Ottavio a far giustizia. Leporello racconta a Don Giovanni come abbia allontanato Donna Elvira e condotto con sé Zerlina alla festa che il padrone gli ha comandato d’organizzare. Compiaciuto, Don Giovanni esprime la sua volontà d’allungare quella notte la lista delle sue conquiste. Nel giardino del palazzo di Don Giovanni Zerlina cerca di far pace con Masetto. Al giungere del cavaliere, Masetto si nasconde per verificare la fedeltà della moglie, ma è subito scoperto; Don Giovanni li invita allora al ballo. Dal balcone, intanto, Leporello scorge tre persone in maschera e invita anche costoro alla festa a nome del padrone. Si tratta in realtà di Donna Elvira, Donna Anna e Don Ottavio, accorsi per sorprendere il reprobo. Don Giovanni li accoglie inneggiando alla libertà, mentre iniziano le danze. Il cavaliere balla una contraddanza con Zerlina e cerca di trarla i disparte per approfittarne. Zerlina però urla fuori scena e tutti si precipitano in suo soccorso. Don Giovanni cerca allora di scaricare la colpa della tentata violenza su Leporello, ma le tre maschere, rivelando la propria identità lo accusano apertamente di tutti i suoi delitti e si fanno avanti per arrestarlo: il dissoluto riesce tuttavia a fuggire.
Atto secondo. Sul far della sera, in una strada vicino a casa di Donna Elvira, Leporello cerca di prendere le distanze dal padrone accusandolo d’empietà; Don Giovanni lo tacita con un’offerta di danaro e impone poi al servo di scambiare con lui gli abiti, in modo da permettergli di far la corte alla cameriera di Donna Elvira, mentre Leporello, con gli abiti del cavaliere dovrà tenere occupata la dama. Elvira s’affaccia al balcone e cade nel tranello, pensando che Don Giovanni si sia ravveduto. S’allontana allora con Leporello travestito, mentre Don Giovanni si pone sotto la finestra a far al serenata al suo nuovo oggetto di desiderio. Sopraggiunge però Masetto che, in compagnia d’altri villici, dà la caccia a Don Giovanni per trucidarlo. Il cavaliere, approfittando del suo travestimento da Leporello, non si fa riconoscere e riesce abilmente a disperdere il gruppo. Rimasto solo con Masetto, lo copre di botte. I lamenti del contadino attirano allora l’attenzione di Zerlina, che soccorre il marito. Frattanto, Leporello non sa più come reggere il confronto con Donna Elvira e cerca di fuggire: in breve si trova però circondato da Donna Anna, Don Ottavio, Zerlina e Masetto, i quali, credendolo Don Giovanni, vorrebbero giustiziarlo. Allora Leporello svela la propria identità e riesce a dileguarsi. Don Ottavio comunica a tutti la sua intenzione di consegnare Don Giovanni alla giustizia, e prega gli amici di prendersi cura della sua fidanzata. Elvira rimane sola ed esprime l’amarezza e la confusione del suo animo, oscillante fra amore e desiderio di vendetta. È ormai notte fonda e Don Giovanni s’è rifugiato nel cimitero, dove attende Leporello. Quando quest’ultimo arriva, Don Giovanni ride sonoramente al racconto delle sue disavventure. La risata è però interrotta da una voce minacciosa: «Di rider finirai pria dell’aurora». Essa proviene dalla statua funebre del Commendatore. Resosi conto dell’evento miracoloso, Don Giovanni non si fa intimorire e sfida le potenze dell’aldilà imponendo a Leporello, terrorizzato, d’invitare a cena la statua parlante: l’invito è accettato. In casa di Donna Anna, Don Ottavio cerca di convincerla ad affrettare le nozze, ma ella lo prega d’aspettare che la vendetta su Don Giovanni sia compiuta. Tutto è pronto per la cena nel palazzo di Don Giovanni. Il cavaliere, desinando, si fa intrattenere da un’orchestra di fiati che gli suona un pezzo da Una cosa rara di Martín y Soler, quindi l’aria “Come un agnello” da Fra i due litiganti il terzo gode di Giuseppe Sarti, e infine l’aria del ‘farfallone amoroso’ dalle Nozze di Figaro. Al che Leporello commenta «Questa poi la conosco purtroppo…». Irrompe Donna Elvira che tenta disperatamente d’ottenere il pentimento di Don Giovanni, ma viene solo derisa. Nell’allontanarsi, grida terrorizzata fuori scena. Il libertino ordina allora al servo d’andare a veder cosa è stato. Leporello va e grida a sua volta rientrando pallido come un morto: alla porta del palazzo c’è la statua del Commendatore. Don Giovanni intima allora d’aprire e fronteggia a testa alta lo straordinario convitato. È la statua che questa volta invita Don Giovanni a cena e chiede la sua mano in pegno; senza lasciarsi intimorire, il cavaliere gliela porge impavido. La stretta è fatale: pur prigioniero di quella mano gelida, Don Giovanni rifiuta di pentirsi e sprofonda quindi in un abisso di fiamme infernali. Troppo tardi giungono gli altri personaggi: Leporello li informa che il Cielo ha già fatto giustizia; a loro non resta che cantare la morale del dramma.

«Il personaggio di Don Giovanni, come e più di Faust, di Amleto, di Don Chisciotte» scrive Massimo Mila, «si è staccato dalle opere letterarie nelle quali aveva visto la luce, e vivere di vita propria. Don Giovanni è di fatto un’intuizione popolare, l’intuizione di un rapporto primario e fondamentale tra l’uomo e il mondo dei suoi simili. Grazie a questa sua vita indipendente dalle creazioni di singoli artisti, la figura di Don Giovanni ha potuto arricchirsi di significati nuovi e sempre più profondi che le si incrostavano attorno per un’azione naturale del tempo. In origine, niente di più chiaro: Don Giovanni è il “dissoluto punito”, il simbolo cioè di un così intenso, incorreggibile peccare, che alla fine il cielo stesso, o meglio l’inferno si muove, evocato dall’immensità delle sue colpe, per punirle. Colpe, come si sa, amorose: centinaia, migliaia di donzelle allegramente sacrificate, in ogni parte del mondo, alla sua inesauribile brama amatoria. Ma perché è un castigo tanto tremendo e tanto solenne per un così amabile peccato, che dopo tutto aveva quasi sempre riscosso, sia presto la fantasia popolare, sia nell’intuizione degli artisti, una divertita indulgenza? Anche Falstaff, per dirne uno, è un gaudente impenitente, che tutto sacrifica alle brame del suo pancione mai sazio; e se il numero delle sue vittime femminile è tanto più limitato che quello del tenebroso cavaliere spagnolo, ciò non dipende certo da una sua minore volontà di peccare, ma solo dal suo aspetto fisico, poco invitante agli abbandoni amorosi. Pure, chi si sognerebbe di invitare il cielo o l’inferno a muoversi per punire questo incorreggibile peccatore? Per le colpe di Falstaff basta un buon bastone, un bagno freddo nelle acque del Tamigi. Le colpe di dongiovanni, invece, noi sentiamo benissimo che esorbitano dalle misure di ogni categoria o legge umana: le sue colpe “non sono di questo mondo”, e tale deve essere quindi anche la punizione. […] L’empietà è l’elemento che si mescola alla incontinenza amorosa di Don Giovanni per darle carattere di colpa tragica. Sì, Don Giovanni o il dissoluto punito; ma anche, Don Giovanni o l’ateista fulminato, come suona un altro dei sottotitoli che le versioni settecentesche del dramma usavano aggiungere al nome del protagonista».

Continua Mila: «Mentre Falstaff è un povero brutto pancione, che non sedurrà mai nessuno, Don Giovanni è bellissimo; sembra quelle primitive immagini cristiane dell’Anticristo, di Lucifero, bello come un dio eppure l’opposto di Dio: un diavolo. Questa invenzione della fantasia umana era nata evidentemente con un destino: il destino di trasformarsi continuamente in mano a chi in prendesse a formarla o a rievocarla, il destino ad essere cangiante o volubile come certe sostanze chimiche che portate contatto dell’aria reagiscono con le più instabili alterazioni. Destino di Don Giovanni era di nascere come personaggio odioso e di finire, sotto sotto, a diventare la meta della simpatia di chi legge od ascolta. […] Anche Mozart ci cascò. Anche lui come gli altri: partì pieno di virtuose intenzioni, per di Don Giovanni un’edificante immagine di empietà punita, e senza potersi accorgere come, pure a lui accadde che verso la fine del dramma la proterva imprudenza del libertino balena di lampi di eroismo e suggerisce – contro tutte le intenzioni del compositore – una celebrazione orgogliosa della ragione umana».

Ma come accolsero i contemporanei di Mozart questa sua opera? Bene, come riferisce il compositore stesso: «L’opera è andata in scena con il successo più clamoroso possibile» e con la quarta recita del 3 novembre l’incasso andò, come contratto, direttamente a beneficio dell’autore. Sull’onda del successo praghese Mozart partì per Vienna per rappresentarla al Burgtheater. Non poche furono le modifiche per le rappresentazioni viennesi, tra cui la soppressione della scena finale del secondo atto in cui i personaggi cantano la morale dopo la sparizione di Don Giovanni. In sostanza, nella versione viennese l’opera si conclude con la discesa di Don Giovanni all’inferno. Questa scelta artistica di Mozart fu probabilmente dettata dal voler concludere l’opera nella stessa tonalità (re minore) in cui incomincia l’ouverture, dandole così un aspetto ciclico. (2)

La disputa tra i sostenitori della partitura praghese e quelli della partitura viennese nacque quasi immediatamente. Anche in tempi moderni si ritrovano entrambe le scelte. Sir Charles Mackerras resta fedele all’integrità del finale in questa produzione che ha inaugurato la stagione 2008 della Royal Opera House di Londra in cui Simon Keenlyside torna a vestire i panni del “dissoluto punito” con ancora maggiori maturità interpretativa, prestanza scenica ed eleganza vocale. La messa in scena di Francesca Zambello è moderna, ma non stravolge per nulla, anzi è difficile trovare una regia che sia così aderente alla parola del libretto come questa. Basti analizzare la prima scena con quel Leporello lercio e trasandato (come doveva essere un servo a quei tempi), una donna Anna colta in deshabillé (se no che cosa aveva tanto da starnazzare?), un don Giovanni mascherato (ecco perché non viene riconosciuto!) e quel Commendatore che è già quasi statua di marmo quando appare in scena nel buio della notte, tra lampi di luce. Non tutto è perfetto, certo (Donna Elvira all’inizio va in giro armata di un fucile quasi fosse la Fanciulla del West e la scena del cimitero è inutilmente affollata), ma è comunque una messa in scena estremamente coinvolgente e coerente.

Oltre al sunnominato splendido Keenlyside, c’è la fortuna di avere la vibrante e appassionata Donna Elvira del mezzosoprano Joyce DiDonato. La disperazione del suo «Mi tradì quell’alma ingrata» è resa magnificamente e molto caldamente applaudita. Marina Poplavskaya è una anche troppo dolente (quasi lagnosa) Donna Anna che alla fine viene beccata da parte del pubblico. Di grande efficacia scenica e vocale è il Leporello di Kyle Ketelsen. La coppia dei giovani sposi ha nella Zerlina di Miah Persson e nel Masetto di Robert Gleadow interpreti esemplari, mentre Ramón Vargas, Don Ottavio ideale sulla carta, in realtà è deludente e dai fiati corti. Dopo essere stato un Grande Inquisitore verdiano Eric Halfvarsen veste la figura da oltretomba del Commendatore con altrettanta autorevolezza. Il compianto Sir Charles Mackerras si dimostra ancora una volta un’autorità nella direzione di un’opera di Mozart, con tempi e colori che più giusti non potrebbero essere.

Negli extra contenuti nei due dischi Pappano fa gli onori di casa con le sue interviste al direttore e alla regista. La ripresa video non è certo favorita dalla illuminazione della scena, spesso in ombra o con forti contrasti di luce. Anche la presa del suono non è delle migliori.

(1) Tra gli altri ricordiamo almeno L’empio punito di Alessandro Melani (Roma, 1669) e il Don Giovanni Tenorio o Il dissoluto punito di Carnicer y Battle (Barcellona, 1822)

(2) Ecco lo schema strutturale delle due versioni:

Don Giovanni, Praga, 29 ottobre 1787
Atto primo
1) introduzione «Notte e giorno faticar» Leporello
2) recitativo e duetto «Che giuramento, o dèi!» Donn’Anna, Don Ottavio
3) aria «Ah! Chi mi dice mai» Donn’Elvira
4) aria «Madamina, il catalogo è questo» Leporello
5) coro «Giovinette che fate all’amore» Zerlina e contadine
6) aria «Ho capito, signorsì» Masetto
7) duettino «Là ci darem la mano» Don Giovanni Zerlina
8) aria «Ah, fuggi il traditor» Donn’Elvira
9) quartetto «Non ti fidare, o misera» Donn’Elvira, Donn’Anna, Don Ottavio, Don Giovanni
10) recitativo «Don Ottavio… son morta» Donn’Anna, Don Ottavio e aria «Or sai chi l’onore» Donn’Anna
11) aria «Fin ch’han dal vino» Don Giovanni
12) aria «Batti, batti, o bel Masetto« Zerlina
13) finale
Atto secondo
14) duetto «Eh, via, buffone» Don Giovanni, Leporello
15) terzetto «Ah, taci, ingiusto core» Donn’Elvira, Leporello, Don Giovanni
16) canzonetta «Deh, vieni alla finestra, o mio tesoro!» Don Giovanni
17) aria «Metà di voi qua vadano» Don Giovanni
18) aria «Vedrai, carino» Zerlina
19) sestetto «Sola sola, in buio loco» Donn’Elvira, Leporello, Don Ottavio, Donn’Anna, Zerlina, Masetto
20) aria «Ah, pietà, signori miei!» Leporello
21) aria «Il mio tesoro intanto» Don Ottavio
22) duetto «O statua gentilissima» Leporello, Don Giovanni
23) recitativo e rondò «Non mi dir, bell’idol mio» Donn’Anna
24) finale (scene XV-XVIII)

Don Giovanni, Vienna, 7 maggio 1788
Atto primo
1) introduzione «Notte e giorno faticar» Leporello
2) recitativo e duetto «Che giuramento, o dèi!» Donn’Anna, Don Ottavio
3) aria «Ah! Chi mi dice mai» Donn’Elvira
4) aria «Madamina, il catalogo è questo» Leporello
5) coro «Giovinette che fate all’amore» Zerlina e contadine
6) aria «Ho capito, signorsì» Masetto
7) duettino «Là ci darem la mano» Don Giovanni Zerlina
8) aria «Ah, fuggi il traditor» Donn’Elvira
9) quartetto «Non ti fidare, o misera» Donn’Elvira, Donn’Anna, Don Ottavio, Don Giovanni
10) recitativo drammatico «Don Ottavio… son morta» Donn’Anna, Don Ottavio e aria «Or sai chi l’onore» Donn’Anna
10a) aria «Dalla sua pace» Don Ottavio
11) aria «Fin ch’han dal vino» Don Giovanni
12) aria «Batti, batti, o bel Masetto« Zerlina
13) finale
Atto secondo
14) duetto «Eh, via, buffone» Don Giovanni, Leporello
15) terzetto «Ah, taci, ingiusto core» Donn’Elvira, Leporello, Don Giovanni
16) canzonetta «Deh, vieni alla finestra, o mio tesoro!» Don Giovanni
17) aria «Metà di voi qua vadano» Don Giovanni
18) aria «Vedrai, carino» Zerlina
19) sestetto «Sola sola, in buio loco» Donn’Elvira, Leporello, Don Ottavio, Donn’Anna, Zerlina, Masetto
20a) recitativo «Ah, pietà… compassion!» Leporello
21) aria «Il mio tesoro intanto» Don Ottavio
21a) aria «Per queste tue manine» Zerlina, Leporello
21b) recitativo «In quali eccessi, o numi» e aria «Mi tradì, quell’alma ingrata» Donn’Elvira
22) duetto «O statua gentilissima» Leporello, Don Giovanni
23) recitativo e rondò «Non mi dir, bell’idol mio» Donn’Anna
24) finale (scene XV-XVII)

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