∙
Giacomo Puccini, Tosca
★★★★☆
New York, Metropolitan Opera House, 27 gennaio 2018
(video streaming)
Al MET la Tosca di Zeffirelli, ah no, di McVicar
Se sei fra i tre registi d’opera più richiesti al mondo e il Metropolitan ti chiede una Tosca che rimpiazzi quella che non era piaciuta al pubblico, cosa fai: rischi qualcosa di nuovo o confezioni esattamente il prodotto che il teatro e il suo pubblico si aspettano? Sir David McVicar sceglie la seconda opzione, allestendo uno spettacolo che più tradizionale e opulento non si può. Le scenografie sono sontuose e i costumi esattamente d’epoca (entrambi frutto del genio di John Macfarlane), le luci preziose, i dettagli realistici: il fuoco nel camino è vero, come sono vere le candele, anche il vino sulla tavola di Scarpia sarà certamente del “vin di Spagna”… Unico neo il pugnale, qui un banale coltello da cucina col marchio inox bene in vista. Inconvenienti dei primi piani nelle riprese video.

Nel primo atto la scenografia mostra uno squarcio grandioso della chiesa di Sant’Andrea della Valle tutta marmi e oro, il secondo la sala d’Ercole di Palazzo Farnese (il cui affresco vediamo riprodotto sulle pareti), il terzo la terrazza di Castel Sant’Angelo. Tutto è esattamente come ce le immaginiamo o come vorremmo fosse. Non ci sono sorprese con lo Zeffirelli scozzese, che qui traduce in visione la grandeur che ha trovato nella musica di Puccini, come lui stesso dice in un’intervista. Comunque con McVicar non ci si annoia mai: i ceffi degli scagnozzi di Spoletta sono da antologia, Cavaradossi si sciacqua la faccia nell’acquasantiera e muore rifiutando il crocifisso ma tenendo una lanterna in mano – il 18 giugno a Roma alle quattro del mattino è ancora buio e il plotone di esecuzione deve mirare giusto…
Con McVicar non manca certo l’attenta cura attoriale che trova facile presa nei due interpreti principali, giovani entusiasti e debuttanti nei ruoli. La gesticolazione del cantante italiano deve aver contagiato anche gli altri, però, con un eccesso di espressività che si riflette anche nell’approccio interpretativo. Di Grigòlo si conosce l’esuberanza e il tono guascone: il suo è un Cavaradossi impetuoso e ribelle, ma quando è il momento anche vocalmente curato con pianissimi ben realizzati e messe di voce controllate. Sonya Yoncheva è sempre più lontana da quel repertorio barocco in cui si era fatta apprezzare e la sua Tosca ha momenti di verismo non estranei al tono dell’opera. Su un registro medio ben assestato il soprano bulgaro piazza acuti luminosi che hanno dell’incandescenza in «quella lama gli piantai nel cor». Nel primo atto è scenicamente convincente come donna gelosa e innamorata e teatralmente persuasive le effusioni col partner, nel secondo si ammira il suo temperamento. Željko Lučić riprende il ruolo di Scarpia cantato in questo stesso teatro e anche se non un manuale di finezze e sottintesi (neanche lui rinuncia a grab the pussy di Tosca nella foga), è comunque efficace con uno strumento vocale che al volume privilegia il colore scuro. Emmanuel Villaume tiene le fila di un discorso molto drammatico che delude solo nell’inizio del terzo atto, qui non aiutato dalla regia che non crede molto a questa alba su Roma e ci fa vedere subito un’altra esecuzione con annesso movimento di soldati.
Stranamente poco curata la ripresa sonora: a causa di microfoni non ben piazzati le voci dei cantanti si affievoliscono quando si spostano ai lati del palcoscenico, tanto che il «Vissi d’arte», peraltro splendido della Yoncheva, sembra quasi cantato fuori scena.
⸪