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Wolfgang Amadeus Mozart, Così fan tutte
Milano, Teatro alla Scala, 30 giugno 2014
(registrazione video)
Le liaisons dangereuses di Da Ponte
Con Così fan tutte nel 2009 Claus Guth completa la sua trilogia dapontiana a Salisburgo iniziata con Le nozze di Figaro nel 2006 e proseguita due anni dopo col Don Giovanni. L’allestimento, ripreso dalla Scala, conferma la chiave di lettura psicanalitica che il regista tedesco aveva applicato per le altre due opere, ma questa è forse la meno convincente.
Don Alfonso è un subdolo manipolatore che con lo schiocco delle dita immobilizza i suoi burattini e dà gli attacchi nei concertati. Un personaggio quasi demoniaco che muove a suo piacere non solo gli sciagurati che gli si sono affidati, ma anche le loro donne. Non soltanto li accompagna sulla soglia dell’inconscio delle pulsioni, ma li fa scendere ben oltre «nei meandri più profondi e ancora ignoti della coscienza. Quando finalmente le due coppie di Così fan tutte riconoscono l’irreversibilità del cammino che hanno intrapreso, è troppo tardi: i quattro sono ormai persi nel desiderio, combattuti tra amore e passione, sicurezza e abnegazione, fedeltà e tradimento» scrive Andri Hardmeier nel programma di sala. E il desolato finale di Guth lascia l’amaro in bocca con le due coppie abbandonate in un arido deserto dei sentimenti.

La scenografia di Christian Schmidt riprende l’impianto de Le nozze: l’interno di una villa, qui razionalista, con una scala che sale ai due piani superiori. L’arredo minimalista e il tutto bianco sono ovviamente di rigore. Il bosco che là proiettava ombre inquietanti sulle pareti e la foresta del Don Giovanni al secondo atto entrano direttamente all’interno, simbolo dell’irrazionalità e incontrollabilità del desiderio. I travestimenti degli uomini e di Despina qui sono del tutto trascurati: bastano due maschere africane e i piedi nudi per i due “albanesi”, una mascherina da chirurgo, che però si toglie subito, per la Despina «magnetico dottore» e un paio di occhiali per la Despina notaio.
Non molto comprensibili tagli ai recitativi, tempi dilatati e un trattamento cameristico dell’orchestra sono le particolarità della concertazione di Daniel Barenboim. Come per il regista non c’è spazio per il divertimento, lo scherzo, la malizia, presenti sia nel libretto sia in partitura. Per un Così fan tutte che invece al divertimento si affida in pieno si deve ricorrere a quello londinese di Jonathan Miller.
Dallo spettacolo della Royal Opera House arriva la Fiordiligi di Maria Bengtsson, qui scenicamente meno convincente e convinta, ma non è colpa sua. Dorabella ha in Katija Dragojevic un’interprete non memorabile e ancor meno soddisfacente è il Guglielmo di Adam Plachetka, baritono di colore chiaro e piuttosto anonimo. Il Ferrando di Rolando Villazón è spesso sopra le righe e «Un dolce ristoro» insopportabilmente sguaiato. Michele Pertusi è un Don Ferrando autorevole, ma anche a lui manca l’ironia mentre Serena Malfi disegna una Despina troppo marcata, servetta vecchia maniera in totale contrasto con il tono dello spettacolo.
Nelle riprese televisive la solita Patrizia Carmine fa a meno delle dissolvenze ma non delle sue tipiche riprese zenitali.

⸪