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Charles Gounod, Faust
★★★★☆
Parigi, Opera Bastille, 26 marzo 2021
(video streaming)
Faust al tempo del Covid
Impresa non facile quella di ambientare una storia così pregna di questioni filosofiche, esistenziali e soprannaturali come quella faustiana – sebbene filtrata dal gusto di un compositore come Gounod – nella prosaicità della contemporaneità.
Al suo debutto sul palcoscenico parigino Tobia Kratzer ci riesce soddisfacentemente senza appesantire la sua lettura di concetti estranei o attualizzazioni forzate. Il suo allestimento all’Opéra Bastille del Faust di Gounod ha tutti i vezzi della modernità – tra cui il taglio cinematografico, l’uso delle riprese video dei primi piani dei personaggi proiettati su schermo, gli ambienti multipli, la presenza di un attore muto – ma non tradisce lo spirito dell’opera e restituisce la vicenda in modo lineare, con qualche trovata spettacolare e un finale inedito. La musica trova così un coerente corrispettivo visuale e la “multimedialità” del grand opéra del Second Empire viene reinventata con la tecnologia di oggi e messa al servizio del dramma. In attesa di poter essere presentato con il pubblico in sala, lo spettacolo viene registrato e diffuso da France 5. I figuranti tengono la mascherina, il coro è fuori scena e mancano i balletti: le restrizioni sanitarie condizionano la messa in scena spingendo anche questa volta a nuove soluzioni.
Un anziano Faust ha consumato un rapporto mercenario con una giovane sul sofà del salotto. Rimasto solo entra in depressione e viene “salvato” da Mefistofele che esce dalla libreria per proporgli il famoso patto. L’alter ego giovane, che finora gli aveva prestato la voce, entra in scena al suo posto e inizia il viaggio: usciti dalla finestra, Mefistofele e Faust svolazzano sulla Parigi notturna sbatacchiando le braccia come neri corvi prima di scendere nella banlieu dove Faust mette a prova la sua riacquistata gioventù in un campo di basket, anche se con l'”aiutino” dei servi infernali di Mefistofele che interverrano più volte a interagire con i personaggi.
La «demeure chaste et pure» è un HLM (appartamento in un condominio popolare) al cui citofono si presentano Faust e il compagno infernale ed è quest’ultimo a ingravidare la fanciulla. Scena successiva: lo studio di un ginecologo per l’ecografia al feto diabolico. Nessuna chiesa per la scena terza del quarto atto: siamo nel métro parigino, i passeggeri con la mascherina scendono e lasciano Marguerite sola con Mefistofele che la minaccia, «Tu ne prieras pas!», e la ragazza cerca di non ascoltare mettendosi le cuffie. Intanto il vagone continua il suo viaggio nell’inferno dei tunnel sotterranei della capitale. Nell’atto quinto la cattedrale di Notre Dame va a fuoco nella notte di Valpurga e a questo segue una cavalcata con i destrieri rubati ai poliziotti di pattuglia sul lungo Senna: Place de la Concorde, Champs-Élysées, Pigalle, i luoghi della Parigi notturna contemporanea. Nel mentre Marguerite annega il neonato nella vasca da bagno. La successiva scena della prigione ci riporta nella casa di Faust, ora completamente svuotata di arredi e libri. Il terribile confronto finale è risolto da Siebel che si offre a Mefistofele in cambio di Marguerite per salvarla.
Magnifica concertazione quella di Lorenzo Viotti che utilizza la versione completa e permette quindi di farci ascoltare numeri che generalmente vengono tagliati, come l’aria di Marguerite e la romanza di Siebel all’inizio dell’atto quarto. I tempi spediti scelti dal giovane direttore aumentano la drammaticità e la teatralità di una partitura che ha avuto un’enorme fortuna nella sua epoca e anche dopo.
Come Faust Benjamin Bernheim è vocalmente ineccepibile, timbro di velluto, grande estensione, acuti facili, fiati, mezze voci e pianissimi di sogno, ovviamente una dizione perfetta. Scenicamente è invece poco convincente, con lo sguardo sempre rivolto ai monitor del direttore d’orchestra, e non si può certo dire che non conosca la parte avendola anche incisa per la produzione del 2018 in cui Christophe Rousset aveva scelto la versione opéra-comique originaria con i dialoghi parlati.
All’opposto non manca di convinzione e grande intensità la Marguerite di Ermonela Jaho, estremamente drammatica anche grazie al colore scuro della voce, ma proprio per questo non rende l’«air des bijoux» con le fatue agilità che ci si aspetta dal personaggio. Buon controllo della voce per il Méphistophélès di Christian van Horn, presenza sinistra e a tratti ironica in una parte che richiede doti vocali e interpretative non da poco. Valentin trova in Florian Sempey il cantante/attore giusto che nella scena della morte fa correre i brividi nella schiena per la verità scenica. Bene anche le altre due interpreti femminili: Michèle Losier (un toccante Siebel) e Sylvie Brunet-Grupposo (una Marthe di lusso). Christian Helmer è un efficace Wagner.

⸪