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Charles Gounod, Faust
★★★☆☆
Vienna, Staatsoper, 29 aprile 2021
(diretta streaming)
Mefistofele vampiro ai tempi di De Gaulle
Frank Castorf debutta alla Staatsoper di Vienna riproponendo il suo Faust di Stoccarda del 2016. L’impianto scenografico è lo stesso utilizzato nelle sue ultime produzioni: la solita struttura su piattaforma rotante che qui condensa la Parigi degli ultimi anni ’50 in cui ambienta la vicenda, un secolo dopo la creazione di Gounod che è del 1859. Il collage architettonico di Aleksandar Denić ingloba un pezzo di Notre Dame con le sue gargouilles, l’uscita Stalingrad della stazione della metropolitana, un caffè col suo dehors (che qui chiamano terrasse), una macelleria abbandonata. Al piano superiore la camera di Marguerite, sotto una vecchia bottega il cui sinistro proprietario si rivela essere Mefistofele.
Anche la lettura del regista tedesco è la solita, con personaggi trucidi ed esagerati, primo fra tutti un Mefistofele metà vampiro e metà prete voodoo che nel corso della rappresentazione diventa caprone dalla vita in giù. Nella drammaturgia di Ann-Christine Mecke le implicazioni filosofiche che mancano nel lavoro di Gounod vengono sostituite dai problemi della Francia con la guerra d’Algeria ed ecco i soldati che arrivano dal fronte con le teste mozze dei ribelli o Valentin che scrive sul muro “l’Algérie est française” in caratteri rossi. Il gusto per il sangue contagia anche Wagner che beve l’acqua con cui ha lavato i piedi insanguinati di Siebel (!), il quale Siebel qui è una donna (o un travestito) innamorata di Marguerite, che qui beve e fuma a profusione e va in giro vestita come un’odalisca di varietà. Tra l’altro è già talmente carica di bigiotteria che i famosi gioielli non fanno molto per cambiarla.
In molti punti i personaggi leggono testi di Rimbaud e Verlaine, ma ci sono altri richiami all’epoca: la pergamena che Mefistofele fa firmare (col sangue) a Faust è un numero della rivista Match con Brigitte Bardot in copertina e il duetto d’amore tra Faust e Margherita è accompagnato dalle immagini delle pubblicità televisive dell’epoca proiettate sugli immancabili schermi in alto. Il taglio cinematografico di Castorf è esaltato dalla ripresa video dello spettacolo messo in scena nel teatro vuoto e trasmesso in streaming.
Deludente la notte di Valpurga, qui una festa con le solite maschere del Dia de los Muertos dove il «doux nectar» è quel ruhm che si beve nei peggiori bar di Caracas mentre aperto è il finale: Margherita non muore, ma sola al bar si versa una polverina nel bicchiere.
A realizzare questa drammaturgia tirata per i capelli sono degli interpreti di grande qualità che assieme alla direzione sontuosa di Bertrand de Billy compensano le spesso sgradevoli immagini. Debuttante nella parte eponima Juan Diego Flórez mette nel canto quella sensibilità e quell’eleganza che difettano nella recitazione. Per quanto si impegni non riesce a essere convincente – ma come dargli torto, questa volta. È debuttante anche Nicole Car, Margherita splendida sia vocalmente sia scenicamente, dalla tecnica sicura e dagli acuti sfavillanti. Per di più porta nel suo personaggio uno slancio giovanile e una smania di vita contagiose. Il giovane basso polacco Adam Palka è un autorevole ma monotono Mefistofele che la regia di certo non ha aiutato nel farlo muovere come zombie su zoccoli, con brache pelose e copricapi tribali. Il mezzosoprano Kate Lindsey, per una volta non en travesti, delinea un memorabile Siebel, il baritono Étienne Dupuis è un intenso Valentin, così come lo è Martin Häßler nella breve parte di Wagner, che vediamo morire in guerra in un filmato. Cinica e provocante la Marta di Monika Bohinec.
⸪