Aida

Giuseppe Verdi, Aida

Roma, Teatro dell’Opera, 31 gennaio 2023

★★★☆☆

(video streaming)

Quasi Cabiria, l’Aida di Livermore a Roma

Il primo numero di “Calibano”, la nuova rivista del Teatro dell’Opera di Roma, è dedicata al tema del black face, complice la programmazione dell’Aida, opera che, soprattutto nei paesi anglosassoni, ha sollevato la questione della rappresentazione di personaggi di colore. Si rimanda dunque a quella pubblicazione un’interessante disanima del problema.

Nella produzione scelta dal direttore artistico Alessio Vlad – che vede la regia e i movimenti coreografici di Davide Livermore, l’impianto scenografico di Giò Forma, i costumi di Gianluca Falaschi, le luci di Antonio Castro e i video della D-WOK – il problema è dribblato: Aida e Amonasro non hanno la faccia nera che ci si aspetterebbe da degli etiopi, anzi: come artisti del cinema muto il viso è coperto di biacca e i costumi solo in parte differenziano le etnie. La questione razziale non sembra l’elemento essenziale della lettura del regista torinese, il quale punta a una drammaturgia che esalta gli aspetti intimistici della vicenda, più che quelli spettacolari. Non che questi manchino, ma non vengono affidati a moltitudini di comparse e a cavalli nella scena del trionfo, ma a una videografica, risolta questa volta con sobrietà, di immagini proiettate sulla superficie di un parallelepipedo, messo di sbieco per accentuarne la tridimensionalità. Ecco dunque fiamme, geroglifici dorati, figure fantasmatiche, paesaggi, turbini di sabbia prendere corpo grazie alle diavolerie digitali della D-WOK. Livermore si libera del bric-à-brac di tradizione, ma costruisce uno spettacolo a suo modo tradizionale, sia nell’impianto scenico formato, oltre che dal suddetto monolito, da pareti oblique scorrevoli, sia nella recitazione da cinema muto, appunto. Il bianco e nero dominante nei costumi che rimandano, con minore eccesso, a quelli del Ciro in Babilonia, è ravvivato solo dall’oro, il resto lo fa il gioco delle luci e la grafica. Il regista risolve in maniera originale i momenti coreografici, spesso stucchevoli: qui i movimenti quasi da break-dance sono affidati alle giovani del corpo di ballo del teatro. 

Nella lettura di Livermore al centro di tutto c’è la storia d’amore ostacolata dalla guerra più che dalla gelosia della figlia del Faraone, con un finale diverso dal solito: Radames, solo nella tomba sigillata dall’esterno, ha una visione di Aida che lo accompagna in un mondo di luce. L’amore alla fine vince su tutto. Le note con cui Verdi conclude la sua opera in fondo possono essere anche intese con questa speranza. Sublime ambiguità della musica.

Musica perfettamente eseguita da Michele Mariotti alla guida dell’orchestra del teatro: alcuni momenti strumentali suonano quasi inediti e non c’è dettaglio della partitura che non venga esattamente analizzato e realizzato con un uso sapiente dei colori e una grande varietà dinamica. Una musica che dimostra così tutta la sua modernità impressionistica.

Grandi personaggi si sono dimostrati gli interpreti principali, anche se hanno superato il culmine della loro carriera: Krassimira Stoyanova non ha più la limpidezza di un tempo, ma ha guadagnato in espressività e intensità nel delineare la sua Aida. Il Radames di Gregory Kunde mostra ancor di più l’usura di un mezzo vocale fino a qualche anno fa miracolosamente intatto. Ora i suoni sono meno stabili, ma gli acuti sono sempre luminosi. Non realizza in pianissimo come prescritto il si bemolle finale di «Celeste Aida» ma riesce a modularne sapientemente il volume e il passato belcantistico rende la sua performance non eroica ma elegante e convincente.  Non freschissima neppure la voce di Ekaterina Semenčuk, ma la sua Amneris si distingue per la bellezza del fraseggio e le intenzioni interpretative che non esagerano mai. Efficace anche l’Amonasro di Vladimir Stoyanov nonostante un timbro un po’ opacizzato mentre non memorabile ma sostanzialmente corretto il Ramfis di Riccardo Zanellato. Più autorevole e solido il Re di Giorgi Manoshvili mentre Veronica Marini è una bella Sacerdotessa e Carlo Bosi il solito comprimario di lusso che incide il suo bel cammeo come Messaggero. Ottimo il coro del teatro istruito da Ciro Visco.

 

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