Antonio Salvi

Ercole su ‘l Termodonte

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★★☆☆☆

Un Ercole come mammà l’ha fatto

Il 14 settembre 1722 Alessandro Marcello scrive alla principessa Borghese per raccomandarle il suo concittadino «Signor D. Antonio Vivaldi, famoso maestro di violino» che stava venendo a Roma per far rappresentare una sua opera per il carnevale.

La città eterna aveva un posto particolare nella vita musicale operistica del primo Settecento: mentre altrove questa forma d’arte furoreggiava a tutti i livelli, qui il fumo peccaminoso che la accompagnava aveva trovato ostilità e un’implacabile opposizione  nella persona dei vari papi che si succedettero nel corso degli anni sul trono della Santa Sede. L’opera era ipocritamente tollerata in privato, a porte chiuse, nei palazzi di regine in esilio o degli stessi principi della chiesa, ma i teatri pubblici avevano vita dura. Il Tordinona, aperto nel 1671, era durato solo quattro stagioni prima di essere chiuso e addirittura distrutto per ordine papale e nel 1710 esisteva un solo teatro pubblico a Roma, il Capranica, dove avrebbe poi debuttato l’Ercole di Vivaldi.

Nel 1717 la sala, situata al primo piano del palazzo del conte di Capranica, affrontava un concorrente nel teatro del conte Alibert, il “Teatro delle dame”, seguito a sua volta dal piccolo “Teatro della pace”. La vita musicale romana cominciava dunque a riprendersi, ma con una peculiarità: le donne non potevano calcare le scene, il che imponeva l’utilizzo di interpreti maschili anche per i personaggi femminili. Un’altra particolarità della scena musicale romana era l’assoluto predominio di due soli compositori attestati nei due teatri rivali: il napoletano Alessandro Scarlatti (al Capranica) e il veneziano Francesco Gasparini. Quest’ultimo nel 1721 smise di scrivere per il teatro “delle dame” e venne sostituito da Nicola Porpora, mentre al Capranica arrivò Vivaldi, che lasciava la sua città dopo gli attacchi di Benedetto Marcello col suo libello satirico, Il teatro alla moda.

Non conosciamo chi commissionò l’Ercole su ‘l Termodonte a Vivaldi, ma sappiamo che il compositore si mise alacremente al lavoro su quel libretto di Antonio Salvi (erroneamente attributo invece al Bussani sulla confezione del disco), Le amazoni vinte da Ercole, in cui si narra della nona fatica di Ercole per impossessarsi della cintura di Ippolita, la regina delle amazzoni.

Il 23 gennaio 1723 l’opera va in scena con i castrati Giacinto Fontana “il Farfallino” (Ippolita), Giovanni Ossi (Antiope), Giovanni Dreyer “il Todeschino” (Orizia) e Girolamo Bartoluzzi “il Reggiano” (Martesia), i tenori Giovanni Battista Pinacci (Ercole), Giovan Battista Minelli (Teseo), Giovanni Carestini (Alceste) e Domenico Giuseppe Galletti (Telamone).

Atto I. Folta selva, in riva al Termodonte. L’azione si svolge in Cappadocia, dove vivono le Amazzoni. Antiope, regina di questa popolazione esclusivamente femminile, la cui capitale è Temiscira, esorta le sue guerriere a non languire nell’ozio e a continuare nell’esercizio delle armi. Martesia, sua giovane figlia, sopporta a fatica la vita domestica: anch’ella vorrebbe guerreggiare contro gli uomini, mortali nemici delle Amazzoni. La madre cerca di dissuaderla. Nel frattempo giunge un gruppo di eroi greci, tra cui Teseo, Telamone ed Alceste, capeggiati da Ercole. Essi devono conquistare le armi della regina delle Amazzoni, per conto del re Euristeo. Ma, soprattutto, l’eroe vuole sbaragliare le acerrime nemiche del «sesso viril». Nel bosco, Teseo salva Ippolita, sua nemica nonché sorella di Antiope, da un orso: tra i due nasce una viva simpatia che non tarda a trasformarsi in amore. Trepidante e innamorato, Teseo la lascia tuttavia andare. Intanto Antiope si accorda per affrontare l’attacco greco con l’impavida Orizia: la prima rimarrà a custodire la città mentre la seconda andrà a bruciare le navi nemiche. Giunge intanto la notizia della cattura di Martesia da parte dei Greci: Ippolita, tra sé, considera che vorrebbe essere al suo posto. Al campo greco, mentre Telamone e Alceste si contendono invano la prigioniera Martesia, interviene Ercole, che destina la fanciulla al più valoroso. Intanto le Amazzoni riescono a catturare alcuni nemici e a bruciare le navi greche: il conflitto si fa incandescente.
Atto II. Logge che introducono al Parco Reale. Ippolita pensa di continuo all’amato Teseo. La regina Antiope vorrebbe vendicarsi sui prigionieri greci, tra cui Teseo, ma la sorella Ippolita cerca di impedirglielo facendo valere i suoi uguali diritti regali. Ella propone a Teseo di fuggire, ma questi rifiuta temendo di non poterla più rivedere. Nel campo greco, presso Temiscira, Ercole è disperato per la perdita dell’amico Teseo. Dapprima si prende in considerazione uno scambio di prigionieri tra Teseo e Martesia. Poi, Alceste annuncia di aver catturato Orizia, altra sorella della regina: Telamone la lascia libera, in cambio di Teseo. I greci innamorati continuano ad istruire l’ingenua Martesia: Telamone e Alceste cercano di insegnarle gli oscuri principi dell’amore coniugale e la vorrebbero in sposa. La fanciulla non comprende queste complicate offerte e spiegazioni, pur provando un’ignota attrazione verso Alceste. A Temiscira, nel tempio di Diana, Teseo sta per essere giustiziato, ma, col suo intervento tempestivo, Ippolita lo salva. Giunge Orizia, che deve però tener fede al patto stretto con Telamone: a malincuore Teseo ritorna, libero, tra i Greci.
Atto III. Sobborghi di Temiscira. Ercole è infuriato con Telamone perché ha liberato Orizia, ma quando Teseo si presenta, Telamone è scagionato; Teseo implora pietà per Ippolita, che lo ha salvato da morte certa, mentre la giovane Martesia si rammarica scoprendo che anche Alceste sta per partecipare all’attacco alla sua città. Assedio. Ippolita cerca di convincere Antiope a consegnare le sue armi, che Ercole vuole conquistare. Orizia giunge ad avvertire le sorelle della caduta di Temiscira. Martesia sorprende la madre, nella reggia, mentre sta tentando di uccidersi. Intanto Orizia è uscita da uno scontro con la spada frantumata, ma fortunatamente trova l’arma della sorella intatta: Ercole la sfida affermando tuttavia di voler solo la spada e la cintura di Antiope, non la vita della donna che ha saputo fronteggiarlo. Antiope allora riconosce la sconfitta, ma dichiara di aver già donato le sue armi a Diana, pertanto egli dovrebbe rapirle alla dea. Orizia, riconoscendo invece l’origine sovrumana di Ercole, vorrebbe donargli la spada di Antiope che aveva solo trovato presso l’altare della dea e prelevato per necessità. Appare infine Diana, la quale sancisce definitivamente il possesso delle armi ad Ercole, stabilisce la fine delle ostilità tra i sessi e istituisce due nuove coppie, Teseo e Ippolita, Alceste e Martesia.

Per molto tempo l’Ercole è stato considerato un «lavoro perduto» – così era definito ancora nel 1978 (terzo centenario dalla nascita di Vivaldi) nel saggio di Michael Talbot, il musicologo inglese fra i maggiori studiosi di Vivaldi e autorità indiscussa della musica barocca italiana. In realtà quelli che mancavano erano i recitativi e le arie del personaggio di Orizia. Nel 2007 a Venezia è avvenuta la prima rappresentazione integrale in tempi moderni dell’opera nella ricostruzione cri­tica di Fabio Biondi, ora disponibile su due CD Erato con un cast stellare. Un nuovo saggio dello stesso Talbot, che fa il punto sulla situazione del teatro musicale del prete rosso trent’anni dopo, è contenuto nel programma di sala del teatro La Fenice disponibile on line.

Questa registrazione video si riferisce inve­ce alla produzione del Festival dei Due Mondi l’anno prima al teatro Caio Melisso di Spoleto con una smilza orchestra di 11 archi, 3 legni, una tromba, tiorba e cembalo, diretta da Alan Curtis con la solita diligenza, ma senza particolare convincimen­to. Qui abbiamo la ricostruzione di Ales­sandro Ciccolini e il risultato dal punto drammaturgico è accettabile, con un moderato taglio ai recitativi e l’espunzione della parte di Orizia.

Per il ruolo principale, piuttosto arduo vocalmente, tra un interprete che avesse il giusto physique du rôle oppure la voce, la scelta è caduta sulla pri­ma richiesta. Il tenore Zachary Stains ha un timbro nasale sgradevole, dizione al limite dell’accettabile e agilità le­gnose, ma si muove a suo agio nel “costume”. Nel tea­tro d’opera c’era già stato del nudo maschile, ba­sti pensare alle re­gie di Calixto Bieito, ma qui è la prima volta che il protagonista per metà dell’opera se ne va in giro con pettorali e tut­to il resto ben in vista – e nella seconda parte non è che sia tanto più co­perto. D’al­tronde, chi ha mai visto una statua di Ercole con le brache? (Proble­ma filologico connesso: ma Ercole era circonciso?) Fa parte del­la sua bestialità esporre la nudità del suo corpo – Ercole è uno che ha fatto a pezzi i suoi figli per rab­bia – e solo quando finalmente diventa civile, posa la pel­le di leone e si veste, anche se poco, con gli attributi ancora ben in vista sotto il corto gonnellino.

Come è stato detto, alla prima rappresentazione tutti i ruoli furono interpretati da cantan­ti di sesso maschile. Qui abbiamo invece una giusta distribuzione dei ruoli: le femmine sono femmine – e con il seno fuori – e i maschi sono maschi, an­che se alcuni cantano con voce di controte­nore. Le amaz­zoni sono qui ben inter­pretate da Laura Cherici e Marina Bartoli, nei ruoli della finta ingenua Martesia e della regina Ippolita, e da Mary-Ellen Nesi come Antiope, ma è nei ruoli maschili di Teseo e Te­lamone, i controtenori Randall Scotting e Filippo Mineccia, che trovia­mo gli interpreti più convin­centi della produzione essendo Alceste di simpatica presenza ma vocalmente poco accettabile.

La regia e le scene di John Pascoe si adattano con genialità agli spazi del minuscolo teatrino. Statue marmoree di falli spezzati (sono solo due ma un gioco di specchi ne moltiplica l’immagine) rappresentano la società maschiofobica e castratrice delle donne guer­riere, mentre gli alberi di ulivo non sono solo un segno di mediterraneità, ma anche della pace raggiunta fra uomini e donne. Del regista sono anche i costumi che esasperano le differenze tra i sessi: i greci hanno gambe e glutei al vento, le amazzoni il seno appena coperto da un velo e le giarrettiere che sostengono alti stivali con tacchi a spillo. Pascoe rende poi maliziosamente evidenti le allusioni erotiche del testo nelle sensuali schermaglie amorose soprattutto della coppia Martesia-Alceste che sono il tema principale di questa vicenda all’insegna di “omnia vincit Amor”.

Sulla confezione è scritto che lo spettacolo è stato fil­mato in high definition. Ma come? Si possono contare i pixel e la resa dell’imma­gine è quella di un VHS di cattiva qualità! Tre stelle per la produzione, una per la qualità tecnica del DVD.

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