foto © Monika Rittershaus
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Georg Friedrich Händel, Giulio Cesare in Egitto
Salisburgo, Haus für Mozart, 11 agosto 2025
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Vita nel bunker
A Salisburgo Dmitrij Černjakov ambienta Giulio Cesare di Händel in un bunker durante la guerra, trasformando il dramma barocco in un serrato gioco di potere e paura. Emmanuelle Haïm guida Le Concert d’Astrée con energia e precisione. Ottimi interpreti, con Christophe Dumaux incisivo Cesare e Olga Kulchynska splendida Cleopatra in una produzione intensa e modernissima.
La prima opera di Händel a essere ripresa nel Novecento, il Giulio Cesare in Egitto, fu scritta per le voci più insigne del mondo musicale del tempo, siamo nel 1723: Francesco Bernardi (il Senesino) e Francesca Cuzzoni per la coppia Cesare e Cleopatra; Margherita Durastanti e Gaetano Berenstadt per Sesto e Tolomeo; Anastasia Robinson e Giuseppe Maria Boschi per Cornelia e Achilla. Questo per dimostrare l’importanza dell’opera con cui il Sassone rispondeva all’avversario Bononcini alla Royal Academy of Music e alle sue due nuove opere in cartellone. Il successo fu tale che l’italiano abbandonò il suo incarico nella stagione successiva. Il Giulio Cesare è da sempre l’opera più amata e rappresentata di Händel.
Avevano già lavorato insieme per le due Iphigenie di Gluck a Aix-en-Provence l’anno scorso e ora Emmanuelle Haïm e Dmitrij Černjakov si ritrovano per questa nuova produzione a Salisburgo, ed è la prima volta per il regista russo a questo prestigioso festival intitolato quest’anno ai giochi di potere. È anche la prima volta che Černjakov affronta un’opera barocca, ma la sua firma stilistica rimane inconfondibile anche in un lavoro di tre secoli fa. Non è la vicenda storica della campagna d’Egitto del romano, bensì i riferimenti al presente e soprattutto il gioco di “affetti” – l’azione che spinge i protagonisti da un estremo all’altro della gamma emotiva – il vero cuore del dramma di Haym (il librettista) e di Händel, ma possiamo dire dell’opera barocca tout court.
Nella sua ambientazione contemporanea Cesare è un uomo sicuro di sé, Cleopatra è inizialmente una seduttrice e calcolatrice, suo fratello Tolomeo uno psicopatico, Cornelia una madre possessiva nei confronti del fragile e tormentato Sesto con il quale ha un rapporto a dir poco complesso. Un insieme vario di umanità che trova rifugio in un bunker sotterraneo per scampare a una guerra che si svolge in superficie e di cui ascoltiamo i boati delle bombe che fanno tremare le pareti della Haus für Mozart e le sirene. Per aumentare il coinvolgimento dello spettatore, grandi scritte rosse scorrevoli esortano a cercare immediatamente un riparo. Inutilmente gli otto personaggi a un certo momento cercano un’uscita: rimangono sempre tutti intrappolati, sovrani e servi, vincitori e vinti – anche se tutti risultano sconfitti nella lotta al potere e irrimediabilmente risucchiati verso il basso.
Le immagini che vediamo sono fin troppo famigliari per molti di noi che una guerra vera e propria non l’hanno vissuta, ma conoscono quelle rappresentate quotidianamente sugli schermi televisivi. E non ci stupiscono le scene di violenza, di orrori, di tortura che Tolomeo infligge a Cornelia, a Sesto, alla sorella, prima ancora a Pompeo, il rivale di Cesare, al quale ha offerto la testa mozzata non pensando di suscitarne l’orrore e lo sdegno – un egiziano che decapita un romano! In tutto questo la musica di Händel si adatta alla perfezione per la sua forza evocativa e interna drammaticità. Unico momento di relativa, serenità è quello del concertino che accompagna il canto seduttore di Lidia/Cleopatra: dopo l’esplosione che fa saltare gli spettatori sulle loro poltrone, sopra il bunker appare l’ensemble cameristico che intona la musica celeste di «V’adoro pupille» con Cesare che afferma: «Cieli, e qual delle sfere | scende armonico suon, che mi rapisce?». Ma è un’illusione: di vero amore qui c’è ben poco, prevale l’amore di potere.
Il libretto di Haym dopo tante drammatiche vicende offre un happy ending posticcio, assolutamente non convincente. Per questo la lettura di Černjakov, altre volte più provocatoria, qui riflette in pieno lo spirito dell’opera, con buona pace dei “tradizionalisti” che alla prima sembra abbiano fischiato la mancanza di pepli romani e reperti egizi. Essenziale anche questa volta è la definizione dei personaggi e la loro recitazione, superlativa per tutti gli interpreti. Christophe Dumaux, indimenticabile Tolomeo, qui è Cesare. Il timbro di certo non è migliorato, ma lo stile, la sicurezza nelle agilità, il fraseggio teso, la tecnica vocale sono impeccabili e il personaggio esce in tutta la sua tridimensionalità. Il suo «Va tacito e nascosto» scatena giustamente l’entusiasmo del pubblico per la precisione tagliente e l’espressione sorniona con cui viene eseguito. Non si capisce allora perché gli venga tagliato nell’atto terzo il virtuosistico «Quel torrente che cade dal monte», che Dumaux avrebbe reso in tutte le sue acrobatiche agilità senza problemi, anche tenendo conto che qui sono mantenute le arie di Achilla e di Nireno altrove sovente cassate.
Olga Kulchynska si immerge nella parte di Cleopatra con grande impegno vocale e attoriale, eccellendo in entrambi. Il personaggio ha una serie di arie stupende che il soprano ucraino rende con grande intensità drammatica, morbidezza di timbro, omogeneità nel passaggio da un registro all’altro e da un colore all’altro per accompagnare la trasformazione del personaggio: dalla già citata «V’adoro pupille» dolcemente sensuale allo straziante «Piangerò la sorte mia». La voce scura di Lucile Richardot si adatterebbe giustamente al carattere di Cornelia, ma il contralto/mezzosoprano francese dalla grande proiezione esagera nell’espressività con effetti che sfiorano la sguaiatezza e rompono la linea di canto, anche se forse è quella più aderente alla lettura registica che la vede eccessiva in tutto quello che fa. Per Sesto si pone sempre il problema se affidarlo a un soprano en travesti o a un controtenore. Qui si opta per la seconda soluzione, ma Federico Fiorio, bravissimo come attore e precisissimo nella agilità, ha volume limitato e un timbro molto adolescenziale rispetto a quanto richiede la parte. Con Tolomeo è facile andare oltre il confine del gusto e Yuriy Mynenko ci va: fraseggio spezzato, emissione discontinua, ma il personaggio in fondo è quello. Molto convincente l’Achilla del baritono moldavo Andrej Žilikhovskij, grande proiezione e cupa espressione per il personaggio che viene tradito da chi ha servito con devozione anche eccessiva. Un altro controtenore, Jake Ingbar, presta voce alla figura qui ambigua di Nireno, mentre Roberto Raso è un affidabile Curio.
Una delizia per le orecchie le note che salgono dalla buca dove Le concert d’Astrée è diretto dalla sua fondatrice Emmanuelle Haïm con verve e giusta scelta di tempi e volumi sonori. L’incalzare drammatico della storia è ben presente nella sua concertazione, così come l’evidenza delle parti strumentali solistiche qui particolarmente abbondanti nell’accompagnamento delle voci. È a lei e alla sua formazione che va buona parte degli entusiastici applausi che salutano gli artefici dello spettacolo alla fine della rappresentazione. Ancora una volta Händel dimostra il suo straordinario senso teatrale e la sua indiscutibile modernità.
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