
★★★★☆
L’opera manifesto della riforma gluckiana
Per festeggiare la riapertura nel 1999 dello storico Théâtre du Châtelet dopo un periodo di restauri, vengono affidate a Sir John Eliot Gardiner (direttore) e a Robert Wilson (regista) le due opere di Gluck Orphée et Euridice e Alceste.
Seconda opera della sua riforma di cui è il vero manifesto e prima delle sue opere a non utilizzare castrati, Alceste viene rappresentata nel 1767 a Vienna in italiano su libretto del Calzabigi tratto dalla omonima tragedia di Euripide e in seguito ripresa in francese su libretto di Le Bailly de Roullet come tragédie-opéra in una versione più breve (Parigi, 1776) ed è questa la versione contenuta nel DVD.
Nella dedica all’arciduca d’Asburgo Leopoldo I, «l’umilissimo, devotissimo e obbligatissimo servo Cristoforo Gluck» così enuncia i suoi propositi: «Quando mi accinsi a scrivere la musica per Alceste, risolsi di rinunziare a tutti quegli abusi, dovuti od a una malintesa vanità dei cantanti od a una troppo docile remissività dei compositori, che hanno per troppo tempo deformato l’opera italiana e reso ridicolo e seccante quello che era il più splendido degli spettacoli. Mi sono sforzato di ricondurre la musica al suo vero compito di servire la poesia per mezzo della sua espressione, e di seguire le situazioni dell’intreccio, senza interrompere l’azione o soffocarla sotto inutile superfluità di ornamenti».
L’opera è caratterizzata da un rigore melodico e da un lirismo trattenuto che non l’hanno resa molto popolare. A ciò è da aggiungere un libretto che non può procurare lo stesso intrattenimento di altre opere, anche serie, trattando di sacrificio, morte e ricompensa della fedeltà coniugale.
Nella vicenda il re Admeto sta morendo e la moglie Alceste scopre da Apollo che il re si salverà solo se qualcuno si sacrificherà per lui. La donna accetta il sacrificio, ma il marito commosso dalla sua dedizione la segue nell’Ade. Come nell’Orphée et Euridice gli dèi alla fine concederanno ai due sposi di vivere entrambi. Fidelio e Alceste sono le opere della celebrazione dell’amore coniugale.
Ispirato dal teatro giapponese Nō, Robert Wilson affida agli interpreti una gestualità da bassorilievo, statica e solenne, coerente con il classicismo di quest’opera austera in cui si consuma il confronto, più intellettuale che appassionato, tra due sposi di fronte alla morte e la possibilità che il sacrificio di uno porti alla salvezza dell’altro. Anche qui come nell’ Orphée il blu è il colore dominante della scena sobria, se non minimalista. Un enigmatico cubo ruota lentamente sul fondo e tutto è giocato dalle luci. In scena c’è soltanto l’immagine di una statua colossale di un Apollo-kuros e alcuni pilastri. Pochi e sobri i movimenti coreografici di Giuseppe Frigeni e austeri i costumi della Parmeggiani. Il coro, quasi onnipresente come nella tragedia greca, qui canta nella fossa orchestrale. Tutto tende a creare un insieme perfettamente consono alla musica sostenuta dalla raffinata direzione di Sir Eliot Gardiner degli English Barock Soloists con i loro strumenti d’epoca.
Nell’ottimo cast anche Yann Beuron, qui fisso in pochi gesti stereotipati, che non può sfogarsi nelle gag delle sue interpretazioni in Offenbach o Rameau. Più a suo agio sembra Anne Sophie von Otter nel ruolo del titolo, vocalmente perfetta nella limpida linea melodica e intensa nell’accento – qui bisogna esprimere tutto solo con la voce. Da notare che nel finale del primo atto non canta la celeberrima aria «Divinités du Styx, ministres de la mort» (cavallo di battaglia della Callas che interpretò la parte alla Scala nel 1954 con Giulini), bensì una sua versione «Ombres, larves, pâles compagnes de la mort», tratta da quella italiana, che solo nel primo verso ha lo stesso tema melodico. Il tenore americano Paul Groves presta voce e presenza al tormentato re Admeto.
Bella la ripresa video di Brian Large. 135 minuti di musica e nessun extra.
⸫
- Alceste, Bolton/Warlikowski, Madrid, 27 febbraio 2014
- Alceste, Tourniaire/Pizzi, Venezia, 24 marzo 2015
⸪