Roberto Devereux

71wYMzQciQL._SL1024_

★★★☆☆

Trilogia Tudor, parte terza.

L’ultima opera della trilogia donizettiana delle regine Tudor dopo Anna Bolena e Maria Stuarda è su un libretto di Salvadore Cammarano tratto sì dalla Élisabeth d’Angleterre di Jacques-François Angelot, ma è derivato in parte anche da Il conte di Essex scritto dal Romani per Mercadante. L’opera debutta con grande successo il 28 ottobre 1837 al San Carlo di Napoli dopo le solite traversie con la censura borbonica – ma non è che negli altri staterelli della penisola le cose andassero meglio in quanto a libertà d’espressione artistica. L’ultimo anno di regno di Elisabetta I fa da sfondo storico della vicenda che vede contrapposta alla regina la duchessa di Nottingham nell’amore per Roberto Devereux conte di Essex.

Atto I. Le dame osservano Sara, la duchessa di Nottingham, sola in un angolo a piangere mentre legge un libro e afferma di essere commossa dalla storia che sta leggendo, mentendo. Ella infatti pensa all’amato Roberto. Entra la Regina, che si rivolge con fare amichevole a Sara e acconsente ad ascoltare il marito di lei, il Duca di Nottingham, e la sua difesa a favore di Devereux. Elisabetta teme che questo la tradisca, ma Sara la rassicura. Entrano Lord Cecil e Gualtiero, che riferiscono il responso del Parlamento: Devereux è condannato per tradimento. Elisabetta dice che rifletterà sulla condanna e in quel momento arriva Roberto che si difende delle accuse subite. Elisabetta gli ricorda i bei giorni vissuti da innamorati e chiede a Roberto se ama una qualche fanciulla. Roberto dice di no ed Elisabetta parte sospettosa. Entra Nottingham che abbraccia l’amico, promettendogli che lo difenderà fino alla morte. Negli appartamenti della duchessa nel palazzo di Nottingham Sara attende Roberto che la accusa di tradimento. Lei risponde che dopo essere partito dalla guerra la regina l’aveva data in sposa al Duca. Roberto allora le giura eterno amore, dandole l’anello che prima Elisabetta gli aveva donato e parte.
Atto II. I lord e le dame attendono il responso del Parlamento. Elisabetta entra ed apprende da Cecil la decisione: morte. Gualtiero di ritorno dalla casa di Devereux le  spiega che dopo essere tornato fu arrestato e cercò di nascondere una sciarpa che aveva al collo. Elisabetta prende la sciarpa certa del tradimento di Roberto. Nottingham viene informato dalla Regina del responso del Parlamento. Dapprima rimane turbato, ma quando Elisabetta mostra al Duca la sciarpa, capisce che egli è l’amante della moglie.
Atto III. Sara attende il ritorno del consorte e un parente del Duca le reca una lettera. È da parte di Roberto e le comunica di essere stato condannato a morte, e che può essere salvato solo se porterà l’anello alla regina. Sara fa per partire ma viene raggiunta dal Duca, che l’accusa di infedeltà, legge la lettera, e ordina alle guardie di custodirla, affinché raggiunga il palazzo solo a condanna eseguita. Roberto attende il suo destino: arriverà Sara con l’anello in tempo per salvarlo? Le sue speranze sono distrutte dalle guardie che lo conducono al patibolo. Elisabetta ha mandato Gualtiero al palazzo di Sara perché, impaurita dagli eventi, vuole la sua compagnia. Poi si rivolge all’amato Roberto, augurando che si salvi, anche se dovesse vivere nelle braccia dell’ignota amante. Giunge Cecil che la informa: Roberto sta andando al patibolo ed Elisabetta chiede se egli avesse chiesto l’anello da dare alla regina, ma Cecil risponde di no. Gualtiero introduce Sara, pallida e sfinita, che dà l’anello ad Elisabetta. Finalmente la regina capisce chi è l’amante di Roberto, ma Sara la supplica di salvare la vita al conte. È inutile: un suono funebre fa tremare i presenti e Nottingham al colmo della gioia entra gridando che Roberto è morto. Elisabetta, sconvolta e furente, accusa Sara di tutto, ma il Duca si assume tutte le responsabilità. La regina condanna a morte i due coniugi e, ossessionata dalle visioni del fantasma dell’amato, abdica a favore di Giacomo I.

Anche se non è nel titolo, è Elisabetta la vera protagonista di questo dramma in cui il potere di sovrana e la vulnerabilità come donna sono in un conflitto acerrimo che suscita continui contrasti emotivi. La cupa, inesorabile ma statica tragedia è rivestita da Donizetti di una musica ricca di momenti di grande intensità lirica ed emotiva. «Ciascun numero di Roberto Devereux, salvo la romanza di Sara all’inizio, è dotato di cabaletta, il che produce un senso di prevedibilità strutturale particolarmente accentuato nel primo atto, prima che il dramma pervenga al suo pieno sviluppo; ma la pertinenza degli spunti melodici e il modo felice in cui Donizetti modifica le convenzioni e varia le forme interne fa di questa una delle sue opere più vigorose ed emozionanti. E in Elisabetta ha creato un ritratto tragico e complesso che può tranquillamente essere accostata alla Norma belliniana». (William Ashbrook)

La produzione del 2005 di Monaco si avvale della messa in scena di Christof Loy. Diversamente da molti altri registi che compensano la mancanza di azione del dramma puntando alle elaborate scenografie e ai ricchi costumi d’epoca, Loy pone invece molta attenzione ai dettagli e alla psicologia dei personaggi e traspone la vicenda al giorno d’oggi passando quindi da Elisabetta I a Elisabetta II. Durante l’ouverture, quasi una serie di variazioni sul tema dell’inno britannico, il sipario si apre svelando un moderno ufficio di Westminster: poltrone di cuoio, il boccione dell’acqua, l’espositore dei tabloid che hanno in prima pagina gli scandali di corte, gli ultimi addetti delle pulizie che escono. Edita Gruberová si presenta come una Thatcher in tailleur grigio e fili di perle (il regista vuole porre l’accento sull’aspetto umano più che regale del personaggio). La cantante rinverdisce a modo suo i fasti del personaggio portato al successo prima di lei da Leila Gencer, Beverly Sills e Montserrat Caballé e da questo elenco si capisce come il ruolo possa essere di appannaggio soltanto di interpreti eccezionali per vocalità e temperamento. La voce della Gruberová è ancora perfettamente in grado di dipanare quelle stratosferiche colorature che fanno di lei il personaggio principale e la sua performance, compreso il suo atto di autodistruzione alla fine dell’opera, scatena il delirio del pubblico bavarese esaltato dalla interpretazione spesso sopra le righe della “divina” che il Giudici accosta a quella di Bette Davis in What ever happened to Baby Jane

Aronica offre la sua prestanza vocale al ruolo del titolo, senza pero renderlo più convincente. Il suo è un personaggio indifendibile che non solo gestisce al peggio la relazione con le due donne (ma come si fa a regalare alla seconda l’anello avuto dalla prima o farsi scoprire con la sciarpa avuta dall’altra?), ma ricambia pure l’amicizia dell’unico che vuole salvarlo e crede alla sua innocenza insidiandogli la moglie! Ottima la prestazione di Albert Schagidullin e giustamente sofferta quella di Jeanne Piland, infelici duchi di Nottingham.

Friederich Haider nel documentario accluso definisce Roberto Devereux come l’Elektra del belcanto e con la stessa attenzione al dramma e al colore della partitura dirige la Bayerische Staatsorchester.

Pubblicità