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Giuseppe Verdi, Falstaff
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Torino, Teatro Regio, 15 novembre 2017
Falstaff a Torino: elegante, ma con poca sostanza
Terzo Falstaff in scena pochi mesi dopo quelli di Milano e di Parma. L’interesse di questa produzione era dato dalla direzione di Daniel Harding più che dallo spettacolo in sé che risale al 2008.
A causa di un incidente occorsogli l’estate scorsa il direttore britannico è stato sostituito da Donato Renzetti, maestro di collaudata esperienza specialmente nel repertorio verdiano, che già aveva concertato l’opera a Cagliari. Con piglio sostenuto egli ha esaltato i momenti più vivaci della vicenda o le chiacchiere delle comari, ma ha saputo sottolineare gli aspetti più lirici della storia d’amore dei due giovani o i momenti di malinconia del vecchio cavaliere.
La sua è comunque una direzione di tradizione che non svela particolari inediti di una partitura che rappresenta la summa della maestria teatrale di Verdi. L’opera ha avuto una lunga gestazione: già nel lontano 1868 indiscrezioni davano il Maestro intenzionato a scrivere un’opera buffa. Quando la sera del 9 febbraio 1893, il suo terzo lavoro su Shakespeare trionfava alla Scala, era trascorso un quarto di secolo in cui Verdi si era dedicato alla composizione di Aida, Don Carlos, Simon Boccanegra e Otello.
Falstaff trionfa e stupisce: mai fino a quel momento si era sentita un’orchestra così leggera, trasparente, dalla timbrica sempre cangiante, con effetti comici affidati ora a singoli strumenti (i corni…) ora a tutta l’orchestra come nella parodistica fuga del finale. Un’opera all’avanguardia in quel momento, che rappresentava una netta linea di demarcazione tra l’opera dell’Ottocento e i futuri esiti del Novecento. Senza il Falstaff di Verdi sarebbe probabilmente stata impensabile La bohème di Puccini.
La produzione ora al Regio di Torino si avvale di due apprezzabili cast. La sera della prima il ruolo del borioso cavaliere è stato assegnato a un Carlos Álvarez di bella vocalità che ha sottolineato la nobiltà del personaggio rinunciando ad accentuarne gli aspetti farseschi, in tal modo però facendogli perdere un po’ di spessore. Lo stesso si può dire per il composto Ford di Tommi Hakala che per di più ha avuto qualche problema di dizione e si è talora inciampato sugli artificiosi termini del libretto di Arrigo Boito. Entrambi hanno comunque reso con grande classe e con un certo elegante distacco i rispettivi personaggi. Molto ben caratterizzati sono stati i ruoli del Dottor Cajus (Andrea Giovannini) e del comicamente impacciato duo Bardolfo e Pistola (Patrizio Saudelli e Deyan Vatchkov), una sorta di Stanlio e Ollio. Francesco Marsiglia è stato un Fenton di grande corporatura, corretto ma non memorabile.
Nel reparto femminile come Mrs Alice ha cantato Erika Grimaldi, tecnicamente attendibile ma dal timbro ingrato. Più piacevoli la Mrs Meg di Monica Bacelli e la Mrs Quickly di Sonia Prina, un ruolo che quest’ultima ora frequenta spesso dopo aver cantato tanti Händel e Vivaldi. Nannetta ha trovato nel soprano rumeno Valentina Farcaș la grazia vocale e scenica desiderate.
La regia di Daniele Abbado illustra molto linearmente la vicenda senza proporne una lettura problematica e muove con efficacia gli attori – anche se dalla scena del parco di Windsor ci si poteva aspettare qualcosa di meno scontato. La scenografia di Graziano Gregori prevede una grande piattaforma di legno inclinata di forma circolare – che però non ruota! – ed è costellata di tante botole. Da una di questa emerge con uno striminzito parasole ed elegantemente vestito Falstaff in uno dei pochi momenti divertenti della serata. Mobili e pareti scendono dall’alto e sono quindi poco comprensibili i lunghi “cambi di scena” che rallentano il ritmo della rappresentazione. Gli abiti anni 1950 di Carla Teti e le calde luci di Luigi Saccomandi completano uno spettacolo niente più che garbato.

⸪