La bohème

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Giacomo Puccini, La bohème

★★★★★

Bologna, Teatro Comunale, 24 gennaio 2018

(differita televisiva)

La straziante solitudine di Mimì

Titolo di tradizione per l’apertura della stagione Bolognese, ma tradizionale non è la messa in scena di Graham Vick e ancor meno la direzione di Michele Mariotti, che per la prima volta affronta un titolo di Puccini.

La regia di Vick non è tradizionale non perché ambienta la vicenda nella modernità – tra un po’ sarà considerata dissacrante quella che proporrà i tempi e i luoghi originali, ossia la Parigi di Luigi Filippo! – ma perché a suo modo propone della vicenda una verità che molte volte è rimasta nascosta dietro le oleografiche cartoline ingiallite spesso proposte per i quattro quadri dell’opera. Come nel romanzo di Murger qui ci si rivolge al passato dopo la perdita delle illusioni da parte di giovani in fondo irresponsabili, la cui incapacità di amare, se non addirittura la loro paura dell’amore, ha resi egoisti.

Non si sa se economie di budget o scelte estetiche stiano dietro alla scenografia di Richard Hudson, una lunga striscia senza profondità che dal fondo del palcoscenico avanza fino alla ribalta. Nel primo caso, facendo di necessità virtù, viene messo in tal modo in primo piano il perfetto gioco attoriale degli interpreti, in una fluidità di gesti che accompagna ogni nota della partitura.

Illuminati dalle luci di Giuseppe di Iorio scopriamo gli ambienti: nel primo quadro un loft trasandato di precari disordinati senza sogni e senza ideali; nel secondo il café Momus è formato dall’altrettanta precarietà dei mercatini di natale, dei tavolini messi in mezzo alla strada, della folla frenetica, degli individui stressati. Qui la parata militare è quella di patetici babbi natali tra cui si nascondono i nostri dopo aver lasciato ad Alcindoro il conto da pagare. Nel terzo quadro la “Barrière d’Enfer” diventa l’inferno di una barriera popolata di tossici che si prostituiscono per una dose, rapinatori, poliziotti corrotti. Nell’ultimo ritorniamo nel loft dell’inizio, ora privo di mobili: solo un bidone della spazzatura troneggia in quel vuoto e Rodolfo vi getta la “cuffietta rosa” come per voler dimenticare un passato doloroso. I ragazzi ora sono in bermuda e scalzi – è passata “la stagion dei fior” e Mimì e Rodolfo si sono da tempo lasciati, siamo quindi quasi in estate – e il freddo che lamenta Mimì è ancora più angosciante, essendo quello che precede l’agonia della morte.

Senza ricorrere ad effetti melodrammatici Vick rende questo finale indicibilmente straziante: Mimì, ancora vestita da sera e col trucco sfatto, si accascia su un materassino steso per terra e spira tra le braccia di Rodolfo che non si accorge di nulla. Solo quando si rende conto di stare abbracciando un cadavere il giovane fugge inorridito incapace di reagire e di far fronte alla realtà. La stessa cosa faranno gli altri lasciando il corpo sul pavimento ricoperto da uno straccio bianco. Come spettatori si prova un colpo nello stomaco da cui è difficile riaversi.

Cast vocale d’eccezione e giovane, a incominciare da Mariangela Sicilia, vocalmente luminosa ed emotivamente intensa, una Mimì cangiante e dalle mille sfumature. Dal Benvenuto Cellini di Amsterdam in poi il soprano calabrese non ha sbagliato un debutto. Non tanto diverso da Mimì è il personaggio di Musetta, ragazza altrettanto ostinata nell’amore ma soltanto un po’ più sfrontata, che Hasmik Torosyan dipinge con sensibilità e grande sicurezza vocale. Nicola Alaimo è un Marcello ideale per toni e simpatia. Altrettanta simpatia la suscita lo Schaunard di Andrea Vincenzo Bonsignore, il più sensibile dei quattro e caratterizzato da un bel timbro baritonale e da una felice presenza scenica. Evgenij Stavinskij, Colline dalla profonda voce di basso, si ritaglia una giustamente applaudita «Vecchia zimarra». Il Rodolfo di Francesco Demuro è quello che personalmente ha meno convinto: voce squillante e acuti facili, ma il tono è un po’ troppo disinvolto e guascone, quasi da musica leggera. Efficaci e ben caratterizzati sono gli altri comprimari.

E infine la direzione di Michele Mariotti. Anche dall’ascolto televisivo si ammira la lettura attenta e raffinata in cui i toni quasi spettrali della partitura sono messi a fuoco dall’orchestra del Comunale assieme a slanci dinamici ricchi sì di pathos ma anche  modernamente asciutti.

Pessima la ripresa RAI che ha mandato in onda lo spettacolo eludendo molti particolari dell’accuratissima regia, rendendo incomprensibili le controscene del secondo quadro e sbagliando le inquadrature del quarto, come se non fossero mai state fatte delle prove. Inaccettabile anche l’audio che ha livellato gli equilibri sonori.

 

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