Hamlet

Ambroise Thomas, Hamlet

★★★★☆

New York, Metropolitan Opera House, 27 marzo 2010

(registrazione video)

Dopo oltre un secolo al MET

D’accordo, con Shakespeare c’entra poco, ma che opera affascinante è l’Hamlet di Thomas! Fin dall’assolo del corno nell’ouverture, il tono della vicenda è magistralmente definito e non ci sarà una sbavatura melodrammatica pur nella sontuosa scrittura orchestrale da grand opéra. E Michel Carré e Jules Barbier hanno fatto una riduzione che mantiene le istanze psicologiche dell’originale nella efficace teatralità del libretto.

«Il y a deux espèces de musique: la bonne e la mauvaise. Et puis, il y a la musique d’Ambroise Thomas» (1) è la famosa battuta di Emmanuel Chabrier, forse geloso della popolarità presso il pubblico borghese della musica facile e melodiosa del rivale. A distanza di un secolo e mezzo noi ci godiamo la musica così com’è e non ci interessiamo più alle rivalità tra compositori e alle loro posizioni anti-qualcosa (anti-Wagner e anti-Fauré nel caso di Thomas).

«La rana Thomas e il bue Shakespeare» ironizza Nicolas d’Estienne d’Orves su “Le Figaro” del 7 aprile 2010 all’indomani di questa produzione. Oltre all’Hamlet, infatti, Thomas aveva scritto musiche per il Sogno d’una notte di mezza estate (1850) e per La tempesta (1889). Ma è inutile criticare il suo Shakespeare edulcorato: nell’Ottocento il Bardo era conosciuto in disinvolti “adattamenti” e su queste quanto meno meno discutibili versioni si basarono sia il lavoro di Gounod sia i tre di Verdi. Nel caso dei vari Hamlet ottocenteschi, i librettisti attingevano alla riscrittura di Jean-François Ducis del 1769 e si dovrà aspettare un personaggio quale Arrigo Boito per trasferire in un libretto – l’Amleto di Franco Faccio – il linguaggio di Shakespeare, di cui Boito era profondo conoscitore.

Dopo la trionfale prima del 1868, il lavoro di Thomas conquistò sempre più i palcoscenici dei teatri mondiali grazie al favore accordatogli da voci mitiche. Un relativo abbandono si ebbe a partire dagli anni ’20, ma nel 1985 c’è una riscoperta dell’Hamlet e non si contano le riproposte, tra cui questa del 2010 al Metropolitan, a conferma dell’interesse dei pubblici moderni.

Alla testa dell’orchestra del teatro, Louis Langrée offre una lettura trascinante e dà unità a una partitura suddivisa in cori, trii, duetti, assoli, fanfare e lirici interludi. Il direttore taglia il coro dei commedianti «Princes sans apanages», però c’è in più il duetto fra Gertrude e Claudio di cui si conosceva solo la versione per voce e pianoforte – alla Bibliothèque National de France è stato ultimamente riscoperto il manoscritto originale e in questa edizione è stato giustamente recuperato a profitto della definizione dei due personaggi – come di tradizione è tagliata la prima parte con i contadini della scena della pazzia di Ofelia e mancano i ballabili. Nel finale viene utilizzata la versione abbreviata, con la morte di Amleto e non lo happy ending originale.

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Nella parte del titolo c’è un interprete d’eccellenza quale Simon Keenlyside, di cui s’è già detto per l’edizione discografica, basata sulla produzione di Ginevra del 1996. Sir Keenlyside mantiene intatti i livelli di vocalità e interpretazione, mentre è aumentata la fisicità attoriale a beneficio di un personaggi meno umbratile e più determinato. La musica sembra proprio scritta per la sua voce calda voce baritonale, ma originalmente Thomas aveva pensato a un tenore! La perfetta dizione francese completa una performance magistrale. Di quella produzione faceva parte anche Natalie Dessay, che avrebbe dovuto portare la sua Ofelia anche a New York, ma la malattia gliel’ha impedito e a pochi giorni dal debutto è stata sostituita dalla Lulu che sarebbe arrivata più tardi nella stagione, Marlis Petersen, soprano coloratura dal timbro rotondo e dalla voce ferma, intrepida nei salti di ottava come nelle agilità. La cantante tedesca ottiene un successo personale meritatissimo. Magistralmente caratterizzata è la Gertrude di Jennifer Larmore dalla presenza scenica magnetica fin da quando dopo l’ouverture sembra portare su di sé il peso della colpa e la paura della scoperta del crimine. Laerte gloriosamente giovanile e vocalmente luminoso quello di Toby Spence, autorevole lo Spettro di David Pittsinger. Parte male con una serie si note calanti il Claudio di James Morris, poi le cose vanno meglio ma la prestazione risente della stanchezza vocale.

La messa in scena è quella di Patrice Caurier e Moshe Leiser di Ginevra, i costumi di Christophe Forey si ispirano all’epoca della composizione e la scenografia di Christian Fenouillat consiste in due elementi curvi che con il loro spostamento definiscono, senza pretesa di particolare caratterizzazione, i vari ambienti.

(1) Ci sono due tipi di musiche: la buona e la cattiva. E poi c’è quella di Thomas.

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