Francesco Bussani

Giulio Cesare in Egitto

GiulioCesare_136-dida-2.jpg

© foto Ramella Giannese

Friedrich Händel, Giulio Cesare in Egitto

Torino, Teatro Regio, 25 novembre 2014

★★★☆☆

Una notte al museo

Miracolo a Torino: il suo ente lirico mette in cartellone un’opera barocca! È dal giugno 2009 che un titolo pre-mozartiano non viene allestito nella città capitale italiana del barocco e custode del maggior tesoro al mondo di manoscritti vivaldiani nella sua Biblioteca Nazionale a poche centinaia di metri di distanza dal Teatro Regio. Si trattava allora di un lavoro giovanile di Händel – Aci, Galatea e Polifemo – messo genialmente in scena al Teatro Carignano da Davide Livermore. Ma dobbiamo risalire ancora più in là nella storia del Nuovo Regio se vogliamo trovare un altro Händel (Tamerlano, 1997), un Monteverdi (L’Orfeo, 1996) e un altro Monteverdi (L’incoronazione di Poppea, 1977). Questo negli ultimi quarant’anni. Un titolo ogni dieci anni! (1)

L’immenso patrimonio musicale del Sei-Settecento (al 99% italiano) continua a essere assente qui da noi a conferma del ruolo di retroguardia culturale cui abbiamo deciso di condannarci. In questa stagione, ad esempio, delle opere di Händel saranno date 1360 rappresentazioni in 140 città estere. Nel mondo è il compositore più rappresentato dopo Bizet, molto più di Bellini e Massenet (fonte: operabase.com).

Questo Giulio Cesare in Egitto proveniente dall’Opéra National di Parigi (gennaio 2011) e ripreso qui da Laurie Feldman non basta certo a compensare la colpevole negligenza dimostrata dal nostro ente lirico e arriva sull’onda del grande interesse che questo repertorio desta invece al di là delle Alpi grazie a nomi quali Christie, Rousset, Gardiner, Jacobs, Minkowski – nomi quasi del tutto invisibili nei programmi italiani e torinesi in particolare.

Per quanto riguarda la messa in scena di quest’opera le nuove produzioni non possono prescindere dalla geniale regia che Peter Sellars ideò a Dresda nel 1990 con l’attualizzazione della vicenda e l’ambientazione nel moderno Medio Oriente. Nel 2012 Moshe Leiser e Patrice Caurier a Salisburgo andarono nella stessa direzione costringendo Cecilia Bartoli a intonare «Piangerò la sorte mia» in ginocchio, con le mani legate e incappucciata come nelle disturbanti immagini del carcere di Abu Ghraib. (Inutile dire che l’effetto è drammaticamente sconvolgente e la Bartoli superlativa come sempre: «Sei unica!» grida uno del pubblico).

Qui invece Laurent Pelly non sembra volersi invischiare in un discorso troppo impegnativo e quando invece del coro iniziale abbiamo la parata di teste di marmo che muovono la bocca in sincrono con la musica come nel Muppet Show si capisce il tono della serata e l’irriverente (azzardata?) commistione tra opera seria e opera buffa cui stiamo per assistere.

Anche se sembra siano stati il nostro Museo Egizio e le statue di Giulio Cesare alle Torri Palatine a ispirare Pelly quando nel 2009 allestì qui la sua Traviata tutt’ora in cartellone, quelli che vediamo sul palcoscenico del Regio sembrano piuttosto i depositi del museo del Cairo visto l’abbigliamento degli inservienti che senza posa spostano casse e reperti.

Questa è la scelta del regista francese per la sua prima regia di un’opera di Händel e diciamo subito che non è risultata troppo convincente e che Pelly sembra più a suo agio nel repertorio brillante e buffo – indimenticabile la sua irresistibile Platée di Rameau o il suo geniale Prokof’ev de L’amore delle tre melarance o ancora i suoi deliziosi Offenbach e Ravel. Non gioca a suo favore neanche il confronto col frizzante Giulio Cesare in stile Bollywood di McVicar a Glyndebourne di cui Carlo Majer nella presentazione dell’opera ha fornito gustosi esempi video.

L’idea di questo Giulio Cesare è un po’ quella del film di Shawn Levy dove Ben Stiller, guardiano notturno del National History Museum di New York, vede con stupore prendere vita i reperti là esposti. Intendiamoci, non che la sua messa in scena sia mal eseguita: le trovate sono sempre ironiche, i rimandi iconografici e le allusioni argute, ma quel continuo andirivieni in scena è talora fine a sé stesso, se non motivo di distrazione.

Questo horror vacui visivo e la ricerca di sempre nuove gag – dopo i reperti archeologici del primo atto, abbiamo infatti i quadri del secondo (e tra gli orientalisti e un Alma Tadema spunta anche un ritratto di Händel) e i tappeti orientali del terzo – portano presto a una certa sensazione di sazietà. Brutte le luci, come sono brutte le luci di un magazzino, mentre l’atmosfera un po’ claustrofobica non è stata alleviata dall’apertura sul fondo della scena che dà sull’esterno nel secondo atto. Indaffarato con tutte queste cianfrusaglie il regista si è dimenticato però della Personregie e le relazioni interpersonali tra i vari personaggi sono del tutto trascurate.

Il ruolo del titolo, interpretato al King’s Theatre di Londra il 20 febbraio 1724 da un idolo di allora, il castrato Senesino, è ora ricoperto da una voce femminile di contralto o da un controtenore (David Daniels e Andreas Scholl tra i più recenti esempi), ma c’è stato un tempo in cui il ruolo veniva ab­bassato di un’ottava e affidato a un baritono. (Dietrich Fischer-Dieskau ci ha lasciato un indimenticabile ricordo della sua interpretazione seppure con i tempi assurdi di Karl Richter e più recentemente anche il baritono Bryn Terfel ama inserire nei suoi recital l’aria «Va tacito e nascosto»).

Qui abbiamo Sonia Prina en travesti, cosa non insolita per il contralto magentino che si è spesso calato nei panni maschili degli Orlando, Rinaldo e Tamerlano handeliani o in quelli di Pompeo nel Farnace di Vivaldi o ancora dell’Ottone monteverdiano. L’eccellente vocalità è però percorsa talora da una certa disinvolta imprecisione nelle agilità e nell’intonazione. Non a caso è stata omessa l’aria più impervia di questo ruolo: «Quel torrente, che cade dal monte», terzo atto scena quinta.

Con Jessica Pratt abbiamo una Cleopatra quanto mai regale e ben diversa dalla esile Cleopatra della Dessay per la quale era stata cucita questa produzione a Parigi. Non sempre a suo agio è sembrata nelle scelte registiche che la fanno inerpicare su statue o casse ed è probabilmente dovuto a ciò un piccolo incidente di intonazione nella sua prima aria. Altrove la sua sontuosa vocalità non ne ha risentito e si è dimostrata come sempre fantasiosa nelle variazioni, fino a superare i limiti dello stile handeliano in certi acuti stratosferici. Gli abiti trasparenti – troppo trasparenti – ideati per il fisico minuto della Dessay sono stati adattati alla figura matronale della Pratt con risultati quanto meno discutibili.

Intensa come sempre anche se un po’ monocorde la Cornelia della Mingardo mentre meglio si è dimostrato il Sesto della Beaumont, vera rivelazione della serata. Dell’Achilla di Guido Loconsolo (lo stesso di Glyndebourne) sono stati ammirati solo i polpacci, del Tolomeo di Jud Perry nemmeno quelli. Anche a loro sono state tagliate alcune arie.

Talora il ruolo del confidente Nireno viene trasformato nella dama di compagnia Nirena (o Nerina). Il controtenore Riccardo Angelo Strano sembra abbia voluto imboccare qui una terza strada con i suoi atteggiamenti da figura parietale egizia che son piaciuti tanto al pubblico.

Ottima la prestazione dell’orchestra del Regio rimpolpata con alcuni strumenti antichi dell’Academia Montis Regalis di Alessandro De Marchi il quale ha diretto la compagine con competenza e precisione anche se si sarebbero voluti magari più colori per diversificare le arie e maggior sensualità nei numeri di seduzione della sovrana d’Egitto.

Il pubblico del Regio, dissuefatto a questo repertorio, è scemato un po’ durante gli intervalli lasciando ad applaudire comunque calorosamente nel finale un buon 70% degli spettatori iniziali.

(1) Ma non è solo con il compositore sassone che l’establishment operistico del nostro paese ha scarsa frequentazione: il Settecento italiano in Italia è ancora oggi quasi totalmente ignorato e per vedere un’opera dell’italianissimo Vivaldi dovremmo andare a Zurigo o a Braunschweig se non a Sydney).

Giulio Cesare in Egitto

51Ucp8usSHL

★★★★★

Da portare sull’isola deserta

La più popolare delle opere di Händel, il Giulio Cesare in Egitto (1724, o più semplicemente Giulio Cesare), su libret­to ancora una volta dello Haym, ebbe imme­diatamente un grande successo grazie soprattutto al protagonista, il castrato Se­nesino, vero idolo dell’epoca.

Ecco come i librettisti Giacomo Francesco Bussani e Nicola Francesco Haym presentavano l’argomento il 20 febbraio 1724: «Giulio Cesare dittatore, dopo aver soggiogate le Gallie, non avendo potuto per opere di Curio tribuno ottenere il consolato, si portò con tant’impeto all’eccidio della libertà latina che si dimostrò più nemico di Roma che cittadino romano. Il senato intimorito, per opprimer la sua potenza, opposegli il gran Pompeo, il quale con poderoso esercito incontrollo ne’ Campi Farsalici, ov’egli fu da Cesare sconfitto: dopo la rotta, Pompeo, memore de’ benefici prestati alla corona de’ Tolomei, colà pensò di ricovrarsi, assieme con Cornelia sua moglie, e Sesto Pompeo suo figlio, in tempo che Cleopatra e Tolomeo, re giovane, tiranno e lascivo, più crudeli nemici, che germani, vicendevolmente armavano per la pretendenza dello scettro. Cicerone rimase prigioniero, il buon Catone si svenò in Utica, e Scipione con le reliquie delle legioni latine errò fuggitivo per l’Arabia. Conoscendo Cesare che la sola depressione di Pompeo poteva stabilirlo solo imperatore di Roma, lo seguitò in Egitto. Tolomeo, per obbligar Cesare, al suo partito contro Cleopatra, barbaro di costumi, ed empio di fede, fattone scempio per consiglio di Achilla fecegli presentare il di lui capo tronco dal busto. Pianse Giulio Cesare, vista la testa del nemico, tacciò di troppa arditezza Tolomeo, il quale a suggestione del consigliero scellerato, violando con ordita congiura la fede dell’ospizio, necessitò poco dopo Cesare istesso a gettarsi dalla reggia nel porto: si salvò Giulio a nuoto; mosse le armi all’espugnazione del tiranno, il quale nel fatto d’arme restò morto; ed acceso dalle bellezze di Cleopatra la sollevò al soglio d’Egitto, calcando egli il trono del mondo, primo imperator de’ romani. Si legge questo fatto ne’ Commentari di Cesare, lib. 3 e 4, in Dione, lib. XLII, ed in Plutarco, ne La vita di Pompeo e di Cesare. Tutti questi autori certificano che Tolomeo, dopo essere stato vinto da Cesare, morisse nella battaglia, ma non è ben certo come; onde si è trovato sì necessario in questo dramma che Sesto Pompeo facesse la vendetta del padre, che si è fatto ch’egli abbia ucciso Tolomeo, non variandosi l’istoria che nelle circostanze dei fatti seguiti». In sintesi, Cesare ha sconfitto Pompeo nella campagna del 48 a.C., ma ha a che fare con i due fratelli Tolomeo e Cleopatra, antagonisti in lotta per il regno d’E­gitto. Per ingraziarsi il vincitore e mante­nere il potere Tolomeo fa avere a un Cesare inorridito la testa mozzata di Pompeo, mentre Cleopatra usa le sue arti ammaliatri­ci per conquistare il conquistatore. Alla fine i buoni vinceran­no e i cattivi rimarranno uccisi o vinti».

Atto primo. Dopo l’ouverture, il coro intona un canto di vittoria che paragona Cesare a Ercole. Giulio Cesare e le sue truppe vittoriose arrivano sulle rive del fiume Nilo dopo aver sconfitto le forze di Pompeo. La seconda moglie di Pompeo, Cornelia, chiede pietà per la vita del marito. Cesare acconsente, ma a condizione che Pompeo lo veda di persona. Achilla, capo dell’esercito egiziano, presenta a Cesare una scatola contenente la testa di Pompeo. È un segno di sostegno da parte di Tolomeo, il co-reggente d’Egitto (insieme a Cleopatra, sua sorella). Cornelia sviene e Cesare si infuria per la crudeltà di Tolomeo. L’assistente di Cesare, Curio, si offre di vendicare Cornelia, sperando che lei si innamori di lui e lo sposi. Cornelia rifiuta addolorata l’offerta, dicendo che un’altra morte non allevierebbe il suo dolore. Sesto, figlio di Cornelia e Pompeo, giura di vendicarsi della morte del padre. Cleopatra decide di usare il suo fascino per sedurre Cesare. Achilla porta a Tolomeo la notizia che Cesare è furioso per l’omicidio di Pompeo. Tolomeo giura di uccidere Cesare per proteggere il suo dominio sul regno. Cleopatra (sotto mentite spoglie) va a incontrare Cesare nel suo accampamento sperando che la sostenga come regina d’Egitto. Cesare è stupito dalla sua bellezza. Nireno constata che la seduzione è riuscita. Nel frattempo, Cornelia continua a piangere la perdita del marito e si prepara a uccidere Tolomeo per vendicare la morte di Pompeo, ma viene fermata da Sesto, che promette di farlo al suo posto. Cesare, Cornelia e Sesto si recano al palazzo egizio per incontrare Tolomeo. Cleopatra ritiene che, avendo messo Cesare, Cornelia e Sesto contro Tolomeo, la bilancia penda a suo favore. Cesare incontra Tolomeo, che gli offre una stanza negli appartamenti reali, anche se Cesare dice a Curio che si aspetta che Tolomeo lo tradisca. Tolomeo è affascinato dalla bellezza di Cornelia, ma ha promesso ad Achilla di poterla avere. Sesto tenta di sfidare Tolomeo, ma non ci riesce. Quando Cornelia respinge Achilla, quest’ultimo ordina ai soldati di arrestare Sesto.
Atto secondo. Nel palazzo di Cleopatra, travestita da Lidia, usa il suo fascino per sedurre Cesare e canta le lodi dei dardi di Cupido e Cesare ne è entusiasta. Nireno dice a Cesare che Lidia lo sta aspettando. Nel palazzo di Tolomeo, Cornelia si lamenta del suo destino. Achilla supplica Cornelia di accettarlo, ma lei lo respinge. Quando se ne va, anche Tolomeo cerca di conquistarla, ma viene respinto. Pensando che non ci sia speranza, Cornelia tenta di togliersi la vita, ma viene fermata da Sesto, scortato da Nireno. Nireno gli rivela la brutta notizia che Tolomeo ha dato ordine di mandare Cornelia nel suo harem. Tuttavia, Nireno escogita un piano per far entrare di nascosto Sesto nell’harem insieme a Cornelia, in modo che Sesto possa uccidere Tolomeo quando è solo e disarmato. Sesto entra nel giardino del palazzo, desideroso di combattere Tolomeo per aver ucciso suo padre. Nel frattempo, Cleopatra attende l’arrivo di Cesare nel suo palazzo. Tuttavia, Curio irrompe all’improvviso e avverte Cesare che è stato tradito e che i nemici si stanno avvicinando gridando «Morte a Cesare». Cleopatra rivela la sua identità e, dopo aver sentito i nemici dirigersi verso di loro, chiede a Cesare di fuggire, ma lui decide di combattere. Cleopatra, innamoratasi di Cesare, implora gli dèi di proteggerlo. Tolomeo si prepara a entrare nel suo harem e mentre cerca di sedurre Cornelia, Sesto accorre per uccidere Tolomeo, ma viene fermato da Achilla. Achilla annuncia che Cesare nel tentativo di sfuggire ai soldati è saltato dalla finestra del palazzo ed è morto. Achilla chiede nuovamente la mano di Cornelia, ma viene rifiutata da Tolomeo. Furioso, Achilla se ne va. Sesto si sente distrutto e tenta di uccidersi, ma viene impedito dalla madre e ripete il voto di uccidere Tolomeo.
Atto terzo. Furioso con Tolomeo per essergli stato ingrato nonostante la sua fedeltà, Achilla progetta di disertare dalla parte di Cleopatra, ma Tolomeo lo pugnala prima di farlo. Mentre si scatena la battaglia tra l’esercito di Tolomeo e quello di Cleopatra, Tolomeo celebra la sua apparente vittoria contro Cleopatra. Cleopatra lamenta di aver perso sia la battaglia sia Cesare, tuttavia, Cesare non è morto: è sopravvissuto al suo salto e sta vagando nel deserto alla ricerca delle sue truppe. Mentre cerca Tolomeo, Sesto trova Achilla, ferito e quasi morto, che gli consegna un sigillo che lo autorizza a comandare le sue armate. Cesare appare e chiede il sigillo, promettendo che o salverà Cornelia e Cleopatra o morirà. Con Cesare vivo e Achilla morto, Sesto si risolleva e giura di continuare a combattere. Cesare prosegue verso l’accampamento di Cleopatra è felicissima di vederlo. A palazzo, Sesto trova Tolomeo che cerca di violentare Cornelia e lo uccide. Dopo aver vendicato Pompeo, Cornelia e Sesto festeggiano la morte di Tolomeo. Cesare e Cleopatra entrano vittoriosi ad Alessandria e Cesare proclama Cleopatra regina d’Egitto promettendole il suo sostegno. Si dichiarano reciprocamente il loro amore. Cesare proclama poi la liberazione dell’Egitto dalla tirannia e auspica che la gloria di Roma si diffonda. Nel coro finale l’intero cast (compresi i defunti Achilla e Tolomeo) si riunisce sul palco per celebrare la forza dell’amore e il trionfo del bene sul male.

Le arie dell’opera (1) sono nella classica forma tripartita in cui la prima strofa è esposta due volte, poi viene la seconda strofa e infine c’è il da capo con la ripresa della prima sezione. In definitiva quasi una forma pentapartita in cui le ripetizioni non interrompono l’azione poiché il da capo con le sue variazioni riprende, rafforza e sviluppa quanto affermato nella prima sezione e l’abilità dell’interprete sta proprio nel gestire queste variazioni che sono lasciate dal compositore al suo gusto e alle sue capacità. Duetti, cori, recitativi accompagnati e altre pagine strumentali completano questa splendida partitura.

Il ruolo del protagonista è ora comunemente assegnato a un contro­tenore (come Andreas Scholl nell’edizione di Salisburgo con la regia di Moshe Leiser e Patrice Caurier) o a una voce femminile di mezzosoprano, come è il caso di questa produzione. Ma c’è stato un tempo in cui il ruolo veniva ab­bassato di un’ottava e affidato a un baritono: Walter Berry con Leitner (1965), Norman Treigle con Rudel (1967) o Dietrich Fischer-Dieskau nella discussa edizione diretta da Karl Richter (1969).

Qui siamo a Glyndebourne nel 2005 e la messa in scena è affidata a quel ge­nio di David McVicar che trasporta la vicenda alla fine dell’epoca coloniale britannica. Da allora questa produ­zione continua a essere presentata in tutto il mondo e anche oggi (marzo 2013) si può vedere in scena al Metropolitan Opera House di New York. La sua regia, i balletti in stile Bollywood, le scenografie e i costu­mi fanno di questo spettacolo uno dei più affascinanti che si possano vede­re in giro.

Il cast della produzione di Glyndebourne è superlativo. Sa­rah Connolly è perfetta nella linea del canto e anche convincente nel suo ruolo en travesti. Angelika Kirschlager delinea con gran­de intensità il personaggio di Sesto, il figlio di Pompeo che vuole vendicare la morte del padre. Patri­cia Bardon è una dolente Cor­nelia. Christophe Dumaux presta con con­vinzione la sua voce di controtenore alla figura del perfido Tolomeo e si dimostra pure un discreto acrobata. Ma il clou della serata è rappresentato dalla performance della australiana di nascita, ma americana di formazione, Danielle de Niese, una Cleopatra giova­ne, affascinante e spiritosa che reci­ta, canta e balla con quella professionalità poco conosciuta da noi al di qua dell’oceano.

In buca il sommo William Christie dipana le meravigliose musiche con la maestria che gli conosciamo. Ottima qualità video e sonora, oltre cinque ore su due di­schi ed extra golosi. Da portare sull’isola deserta se è l’unico DVD che ci è concesso.

(1) Ecco la struttura dell’opera:
Ouverture
Atto I
1. Viva, viva il nostro Alcide!, coro
2. Presti omai l’egizia terra (Cesare)
3. Empio, dirò tu sei (Cesare)
4. Priva son d’ogni conforto (Cornelia)
5. Svegliatevi nel core (Sesto)
6. Non disperar, chi sa? (Cleopatra)
7. L’empio, sleale, indegno (Tolomeo)
8. Alma del gran Pompeo, recitativo accompagnato (Cesare)
9. Non è sì vago e bello (Cesare)
10. Tutto può donna vezzosa (Cleopatra)
11. Nel tuo seno amico sasso, arioso (Cornelia)
12. Cara speme, questo core (Sesto)
13. Tu la mia stella sei (Cleopatra)
14. Va tacito e nascosto (Cesare)
15. Tu sei il cor di questo core (Achilla)
16. Son nata/o a lagrimar/sospirar, duetto(Cornelia e Sesto)
Atto II
17. V’adoro, pupille (Cleopatra)
18. Se in fiorito ameno prato (Cesare)
19. Deh, piangete, oh mesti lumi, arioso (Cornelia)
20. Se a me non sei crudele (Achilla)
21. Sì, spietata, il tuo rigore (Tolomeo)
22. Cessa omai di sospirar (Cornelia)
23. L’angue offeso mai riposa (Sesto)
24. Venere bella (Cleopatra)
25. Al lampo dell’armi, aria e coro (Cesare)
26. Che sento? Oh Dio! Morrà Cleopatra ancora arioso, recitativo accompagnato (Cleopatra)
27. Se pietà di me non senti (Cleopatra)
28. Belle dee di questo core (Tolomeo)
29. L’aure che spira (Sesto)
Atto III
30. Dal fulgor di questa spada (Achilla)
31. Domerò la rua fierezza (Tolomeo)
32. Piangerò la sorte mia (Cleopatra)
33. Dall’ondoso periglio, recitativo accompagnato e aria (Cesare)
34. Quel torrente, che cade dal monte (Cesare)
35. La giustizia ha già sull’arco (Sesto)
36. Voi che mie fide ancelle un giorno foste, recitativo accompagnato (Cleopatra)
37. Da tempeste il legno infranto (Cleopatra)
38. Non ha più che temere (Cornelia)
39. Più amabile beltà, duetto (Cleopatra e Cesare)
40. Ritorni omai nel nostro core, coro e duetto (Cleopatra e Cesare)