foto @ Anja Koehler
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Carl Maria von Weber, Der Freischütz
Bregenz, Seebühne, 12 agosto 2025
ici la version française sur premiereloge-opera.com
A Bregenz un Freischütz reinterpretato in chiave fantasy-horror
Alla Seebühne di Bregenz il Freischütz di Weber diventa un horror visionario firmato da Philipp Stölzl, tra villaggi in rovina, lune giganti e zombie dove la perfetta amplificazione sonora crea un’esperienza immersiva unica. Patrik Ringborg Dirige i Wiener Symphoniker in una produzione spettacolare, a metà tra musical e film di Tim Burton, con finale ironico e inquietante dominato dal diabolico Samiel.
Quando si è alla Seebühne, il teatro sul lago di Bregenz, si rimane talmente trasportati dalle immagini che non si pensa più alla tecnologia che sta dietro quelle visioni evocate dalla musica.
Innanzitutto lo strepitoso sistema di amplificazione – ha anche un nome: “ascolto direzionale di Bregenz” – che ti fa sentire l’orchestra come fosse lì davanti a te e invece è al chiuso nella sala del Festspielhaus a fianco della gradinata. Anche i cantanti sono amplificati, ma la qualità della resa sonora è tale da annullare la distanza tra pubblico e interpreti tanto da farteli sentire vicini. Il suono è avvolgente e se ne ha subito un esempio all’ingresso nella cavea quando si ode il verso dei corvi e delle aquile e non pochi spettatori alzano lo sguardo verso il cielo come se ci fossero uccelli volteggianti sulla platea. I mezzi sonori sono impiegati al meglio nella scena della fusione delle pallottole nella spaventosa Valle del lupo dove gli impressionanti effetti sonori si aggiungono a quelli visivi, altrettanto spettacolari.
A poche centinaia di chilometri dal blasonato Festival di Salisburgo, questo della capitale del Voralberg è dal 1946 il più popolare dei festival operistici estivi. Quattro anni dopo veniva costruito il più grande palcoscenico lacustre del mondo con una tribuna che, dopo ulteriori ampliamenti, ora può contenere quasi 7000 spettatori. Dal 1985 le produzioni vengono utilizzate per due anni consecutivi per sfruttare al meglio l’investimento sull’imponente e costoso apparato scenografico.
Quest’anno un villaggio che esce provato dalla Guerra dei trent’anni affondando in una palude è l’ambientazione scelta dal regista Philipp Stölzl per Der Freischütz, il Singspiel di Carl Maria von Weber. Capanne a graticcio inclinate dal vento e dal tempo, un vecchio mulino che continua a girare inutilmente, un campanile semidiroccato e pendente il cui orologio ha lancette che ruotano al contrario: il tutto in uno scenario invernale innevato dominato da un’enorme Luna e dove alberi scheletrici si innalzano verso il cielo emergendo da un’acqua popolata da scheletri e zombie. Un mondo horror per illustrare quello poetico-magico della nota vicenda raccontata nel libretto di Johann Friedrich Kind tratto dal Gespensterbuch (Libro degli spettri) di Johann August Apel e Friedrich Laun.
Con i costumi fantasy di Gesine Völlm e le luci dello stesso Stölzl e di Florian Schmitt, il Dramaturg Olaf A. Schmitt ri-immagina la vicenda raccontata dal diavolo Samiel. Ulteriormente affinata e sviluppata in questo secondo anno, la produzione di Stölzl merita di essere vista anche se non si tratta del Freischütz canonico: la successione dei pezzi musicali del Singspiel è modificata per questo spettacolo a metà tra il musical (vi sono anche delle nuotatrici di nuoto sincronizzato con aureola di lucine) e un film di Tim Burton. I tre atti originali sono condensati in due ore senza intervallo dove la musica è resa con vigore da Patrik Ringborg alla testa dei Wiener Symphoniker, da 65 anni ospiti della cittadina sul Bodensee. La partitura di Weber è contrappuntata dai temi popolari eseguiti da un trio di contrabbasso, fisarmonica e clavicembalo appollaiati su uno scoglio, ma quando è eseguita nella sua veste originale non tradisce lo spirito della prima opera romantica tedesca.
In scena sul palcoscenico galleggiante un cast omogeneo che anche se non ha punte di eccellenza svolge adeguatamente il suo dovere: Ecco quindi la lirica Agathe di Mandy Fredrich, la verve della Ännchen di Hanna Herfutner, l’autorevolezza dell’Ottokar di Johannes Kammler, la sicura presenza di Franz Hawlata come Kuno, l’ombroso Kaspar di David Steffens e il Max di Mauro Peter dalla voce potente.
Recuperato l’originale finale tragico del racconto di Apel con la morte di Agathe, il diavolo in rosso, l’attore Moritz con Treuenfels, per interpretare la parte dell’Eremita si traveste da scintillante Papa felliniano con un ultimo gesto beffardo emergendo una seconda volta dal lago a cavallo di un drago dalla bocca fiammeggiante e rassicura il pubblico: «Improvvisamente mi sento… sentimentale. Questo mi sembra troppo brutale! Che ne dici di un finale lieto? Se necessario con una svolta assurda? Allora, ecco che Max ottiene Agathe. La sua morte è stata, diciamo, uno svenimento per la paura! E se qualcuno ora ride, dovrebbe bruciare all’inferno!». Il finale tragico era stato messo in scena prima dell’ouverture quando viene scavata una tomba fresca nella neve per Agathe mentre Max viene impiccato e il sacerdote che guida la processione funebre con la bara della giovane donna si rivela essere il diabolico Samiel che Stölzl eleva a personaggio principale nella sua lettura dove il paradiso e l’inferno, Dio e il diavolo appaiono solo come proiezioni reciproche.
Con la nuova direttrice del festival Lilli Paasikivi, l’anno prossimo per la prima volta un regista italiano metterà in scena un’opera a Bregenz: sarà Damiano Michieletto con La traviata.
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