Andrea Leone Tottola

Zelmira

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★★★★☆

Un Rossini già internazionale

Con Zelmira Rossini nel 1822 si accomiata dal Teatro di San Carlo alla fine di un fruttuoso e felice settennio per intraprendere una carriera internazionale dopo aver quasi monopolizzato le scene del melodramma di Napoli e del resto del paese. E lo fa con un’opera proiettata verso il futuro, con soluzioni musicali (strumentali e soprattutto armoniche) e drammaturgiche del tutto inedite: poche le arie solistiche, duetti e insiemi la fanno da padroni in questa azione scenica.

Il libretto di Andrea Leone Tottola si basa sulla “pièce d’événements” Zelmire (1762) di Pierre-Laurent Buyrette e per la macchinosa trama ci facciamo aiutare da Giovanni Carli Ballola: «Fosca vicenda ambientata a Lesbo, ove un avventuriero che ha sbalzato dal trono il legittimo sovrano viene assassinato da un secondo usurpatore, Antenore, con la complicità del manutengolo Leucippo. Polidoro, il vecchio re spodestato e da tutti ritenuto morto, vive celato in un sepolcreto dove lo ha posto in salvo la figlia Zelmira. Costei, tacendo il segreto, viene ingiustamente accusata dal popolo (sobillato dai due vilains, che intendono in tal modo di sbarazzarsi anche di lei) di tradimento e parricidio. Anche Ilo, principe troiano e sposo di Zelmira, cade nel perfido inganno; alla fine, scoperto il nascondiglio di Polidoro, mentre l’usurpatore si appresta ad eliminare la legittima famiglia reale, Ilo e i suoi chiariscono le scellerate trame, fanno giustizia e riportano Polidoro sul trono».

Insediata in un moderno palazzetto dello sport, l’Adriatic Arena offre i suoi spazi per una messa in scena molto particolare di Giorgio Barberio Corsetti. Mentre sul palcoscenico avvengono congiure, inganni e omicidi, uno specchio inclinato a 45 gradi riflette al di sotto della griglia del palcoscenico una diversa umanità sofferente, ferita e vittima del potere (un campo di battaglia, un carcere). Le dimensioni spaziali della scena vengono in tal modo aumentate, ma si amplia pure il senso di quello che viene rappresentato. Forte è il contrasto tra quello che viene cantato in primo piano e quello che si vede là sotto e a qualcuno non è piaciuto. Lo specchio riflette poi i personaggi visti dall’alto e isolati in uno sfondo nero. I costumi sono moderni, è la Grecia dei colonnelli con le sue divise militari, i doppiopetti e le palandrane dei preti ortodossi pronti a benedire il dittatore di turno.

L’allestimento del 2009 al Rossini Opera Festival di Pesaro si avvale di un cast di livello eccezionale con alla guida dell’orchestra del Comunale di Bologna un musicalissimo Roberto Abbado. Protagonista eponima è Kate Aldrich che, nonostante la parte non sia molto sviluppata musicalmente e con una sola aria solistica, convince pienamente nel suo triplice amore filiale, coniugale e materno. Come Ilo, babbione che crede a tutto quello che gli dicono gli altri, ma non alla moglie (che tra l’altro non trova il tempo per spiegargli in separata sede la verità, ah i libretti d’opera…), Juan Diego Flórez riprende il ruolo che fu del tenore contraltino Giovanni David dalla voce estesa su tre ottave. La sua aria di sortita è salutata dal pubblico pesarese con ovazioni interminabili, ma tutto il resto della sua prestazione è da manuale. Ad Alex Esposito e alla sua calda voce di basso è assegnata la parte del vecchio Polidoro mentre Marianna Pizzolato come Emma si guadagna la seconda ovazione della serata con la sua voce ferma e vellutata dispiegata nell’intensa aria «Ciel pietoso, ciel clemente». L’Antenore di Gregory Kunde per fiati, squilli, eleganza di fraseggio, stile è come sempre perfetto. Anche Mirco Palazzi presta degnamente la voce a quel malefico Leucippo. Difficilmente si trova un allestimento in cui tutte le parti siano coperte da interpreti così eccellenti come in questo.

Negli extra un esauriente dietro le quinte.

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Ermione

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★★★★☆

Un’altra riscoperta rossiniana

Che la trasposizione della vicenda di un’opera in tempi e luoghi diversi da quelli indicati nel testo sia ormai prassi consolidata ha avuto la sua consacrazione definitiva con l’articolo del giornale satirico di The Onion in cui si ha la clamorosa notizia che un regista metterà in scena un dramma di Shakespeare nel tempo e nei luoghi voluti dall’autore: Il mercante di Venezia non sarà quindi ambientato nella Las Vegas degli anni ’60 o in una piantagione della Georgia dell’ottocento, bensì nella Venezia del XVI secolo. Scherzi a parte, ecco dunque che Ermione (“azione tragica” del 1819 su libretto di Andrea Leone Tottola tratto dall’Andromaque di Racine, 1667), nell’edizione 1995 di Glyndebourne viene ambientata dal regista Graham Vick, chissà perché, nella seconda metà dell’800 con un’Ermione che si presta ad andare a caccia vestita come per un ballo a corte con guanti, ventaglio e strascico di due metri dell’abito in velluto color ametista. Come stilizzata ed efficace scenografia un elemento rotante e sbieco forma i due soli ambienti: la prigione e la «reggia abborrita», qui a foggia di loggiato teatrale.

Il maestro Andrew Davies alla guida della London Philarmonic calibra perfettamente gli equilibri e i colori strumentali della partitura fin dalla splendida sinfonia con coro che aveva tanto sconcertato il pubblico della prima al San Carlo di Napoli dove l’opera si rivelò un vero e proprio fiasco.

Conseguentemente non venne mai più ripresa e la sua musica fu riutilizzata da Rossini in almeno altre quattro opere successive. La rinascita avvenne solo nel 1977 in forma di concerto e dieci anni dopo in forma scenica al Rossini Opera Festival con Gustav Kuhn e Montserrat Caballé come protagonista titolare.

Nella vicenda Andromaca, vedova di Ettore, è prigioniera del re Pirro che, nonostante sia promesso sposo a Ermione, se ne innamora e vuole farla regina. L’arrivo di Oreste, innamorato di Ermione, non fa che complicare le cose fino alla tragica conclusione. Il libretto si presta a momenti di involontaria comicità come quando Ermione apostrofa la rivale Andromaca con un «avanzo di Troia» o quando sempre Ermione minaccia la sua vendetta su Pirro «di belliche faville | va il cielo a balenar».

Dopo aver sconfitto i Troiani, il re Pirro, figlio di Achille, è ritornato in patria, A Buthrote, capitale del regno di Epiro, con numerosi prigionieri tra i quali vi è Andromaca con il figlioletto Astianatte. Egli non tiene fede alla promessa fatta a Ermione, figlia di Menelao re di Sparta, poiché ama Andromaca, che tuttavia lo respinge, fedele alla memoria di Ettore. Oreste, che è stato inviato a Buthrote dai re greci per risvegliare in Pirro il senso del dovere e il desiderio di gloria, dichiara il suo amore a Ermione che, tormentata dalla gelosia, sta cercando di riconquistare il cuore di Pirro. Questi non solo respinge il suggerimento di Oreste di sopprimere Astianatte, per evitare la futura immancabile vendetta, ma, alla presenza della corte e di Ermione, chiede ad Andromaca di sposarlo. Ella finge di acconsentire alle nozze, ma in realtà vuole solo salvare il figlio (e medita anche di uccidersi, per raggiungere l’amato sposo nell’oltretomba). L’umiliata Ermione, resa folle dalla passione, chiede a Oreste, quale testimonianza d’amore, di uccidere Pirro. Quando Oreste le presenta il pugnale insanguinato, prova che la vendetta da lei richiesta è stata eseguita, ella, presa da orrore per l’omicida, gli svela tutto l’amore che prova ancora per Pirro. Oreste, sconvolto e delirante, è trascinato via dai suoi compagni verso la nave.

«La generale atmosfera tragica di Ermione, presaga di tinte cupe che saranno tipiche di tante opere romantiche, rende l’opera di singolare interesse. Rossini si discosta qui dai moduli belcantistici, conferendo maggiore continuità ai nessi tra i vari pezzi chiusi, come accade ad esempio nel secondo duetto fra Ermione e Oreste o nella grande scena finale di Ermione. Fondamentale è anche la funzione del coro, che diviene parte integrante dell’architettura drammatica. Alcuni interventi di personaggi minori, di solito marginali nell’economia generale dell’opera, inoltre, sono decisivi; l’annuncio dell’arrivo di Oreste è uno di questi. Ermione è grande protagonista già dal finale primo atto, ma è nel secondo che decisamente sovrasta gli altri personaggi. In una grande scena ha modo di esprimere un ventaglio di emozioni che vanno dalla ferocia all’amore più tenero. La scena è costituita da un’aria in quattro sezioni, intercalate da recitativi. Isabella Colbran, a quel tempo protagonista assoluta delle scene napoletane, ebbe modo di evidenziare il pathos che era riconosciuto come suo punto di forza. Accanto a lei furono Andrea Nozzari come Pirro e Giovanni David come Oreste, oltre a Rosmunda Pisaroni nell’importante ruolo di Andromaca, tutti cantanti di chiarissima fama. In Ermione Rossini introdusse altri elementi che svilupperà più tardi nel periodo parigino: il finale tragico al posto di quello lieto, l’uso frequente del declamato e la sostituzione quasi abituale delle arie tripartite con quelle bipartite». (Umberto Fornasier)

Come Medea ed Elettra, anche Ermione è ossessionata dall’amore/odio e fino all’ultimo è indecisa fra i due sentimenti. Voce a questo personaggio è data da una Anna Caterina Antonacci in splendida forma. Andromaca ha le nobili fattezze e la sontuosa vocalità di Diana Montague, ma tutto il cast è di ottimo livello. Forse non tanto il Pirro di Jorge López-Yañez, quanto l’Oreste di Bruce Ford, dalla forte somiglianza con Leonardo di Caprio, dallo squillo e dallo stile perfetti.

Immagine in 4:3 e sobria ripresa video di Humphrey Burton. Una sola traccia audio e sottotitoli in cinque lingue compreso l’italiano.

  • Ermione, De Marchi/Spirei, Napoli, 7 novembre 2019

La donna del lago

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★★☆☆☆

Benvenuti nel 50.000 a.C.

Il libretto de La donna del lago di Andrea Leone Tottola è tratto da quel poema di Walter Scott The Lady of the Lake (1810) che ebbe molta influenza nel risvegliare lo spirito dei clan scozzesi. È un best seller quindi quello che si ac­cinge a musicare nel 1819 il pesarese, allora direttore musicale del teatro di San Carlo a Napoli. Il poema non era ancora stato tradotto nella nostra lingua e il Tottola aveva lavorato sulla versione francese (all’epoca in Italia quasi nessuno conosceva l’inglese) e aveva inserito riferimenti al clima ossianico («D’Inibaca, donzella, / che fe’ / d’immenso amor / struggere un dì / Tremmor», ad esempio) del tutto assenti nel romanzo di Scott e facendo di questa la prima opera romantica italiana e prodromo al futuro Guglielmo Tell. Il libretto ha una sua validità drammaturgia, ma è letterariamente spesso risibile e quasi quasi si rimpiange che Rossini non abbia riutilizzato la musica per un testo più accettabile.

Atto I. Scozia, XVI secolo. È l’alba. Sulle sponde del lago Katrine pastori e pastorelle intrecciano canti, mentre lontano squillano i corni dei cacciatori. Elena (la “donna del lago”) saluta l’alba dalla sua barca e canta il suo amore per Malcolm. Dalla vicina rocca di Benledi la osserva il cavaliere Uberto, nome sotto cui si cela il re di Scozia Giacomo V. Uberto è venuto fin lì spinto dal desiderio di ammirare Elena, che gli è stata descritta come donna di grande bellezza; una fama la sua che gli sembra più che meritata. Quando Elena lo scorge Uberto le racconta un’innocente bugia: ha perduto il cammino mentre era a caccia con i suoi compagni. Pietosamente la fanciulla lo invita a raggiungerla sulla barca e andare con lei a ristorarsi a casa sua dall’altra parte del lago. Mentre i cacciatori cercano inutilmente Uberto, nella magione di Elena e di suo padre Douglas, due loro amici, Albina e Serano, si scambiano delle confidenze: apprendiamo così che Giacomo è un oppressore ingiusto, che Rodrigo, che sta per giungere, è il capo dei ribelli e che a lui Douglas ha promesso in sposa Elena per sancire un’alleanza volta a liberare la Scozia dal dominio del re. Giunti a casa di Elena, Uberto scopre con suo disappunto di essere in pericolo perché si trova nell’abitazione di un suo grande nemico, Douglas, il nobile che ha abbandonato la corte del re per schierarsi con i ribelli. Apprende anche che Elena, sua figlia, è sì la promessa sposa di Rodrigo, ma è stata promessa contro la propria volontà e il suo cuore si apre alla speranza di poterla conquistare. Dal canto suo Elena, forse stimolata dalle cortesie del cavaliere, torna ancora una volta col pensiero a Malcolm, il suo amore lontano. Ma il pericolo incombe su Uberto, che controvoglia si separa dalla fanciulla per raggiungere i cacciatori suoi compagni. Albina lo traghetterà sull’altra sponda del lago. Allontanatosi Uberto, compare Malcolm che in solitudine proclama il suo amore per Elena. Sopraggiunge Serano che lo informa che Rodrigo sta arrivando e Douglas è sempre intenzionato a dargli Elena in sposa. Si allontana Serano e giungono Douglas ed Elena, osservati di nascosto da Malcolm. Vincendo la debole protesta della figlia, il padre le ingiunge di sposare Rodrigo e la invita a seguirlo per andargli incontro. Douglas esce e Malcolm si manifesta a Elena; insieme i due innamorati si giurano eterna fede. Nella vicina pianura Rodrigo viene accolto dagli uomini dei clan e da Douglas, seguito da Elena che appare riluttante e, nonostante le pressioni del padre, non riesce a nascondere il suo disagio nell’incontrare il promesso sposo, disagio che non sfugge a Rodrigo. Giunge anche Malcolm con i suoi seguaci; quando i due innamorati si scorgono, il loro turbamento li tradisce con grande ira di Douglas e di Rodrigo. Però si stanno avvicinando anche i soldati di re Giacomo ed il pericolo unisce tutti spronandoli alla battaglia.
Atto II. L’inizio della battaglia è ormai vicino Uberto canta il suo amore per Elena mentre da solo la sta cercando. Elena che si è nascosta in una grotta con Albina e Serano, manda quest’ultimo ad avere notizie del padre. Uberto trova Elena e le dichiara il suo amore, ma Elena gli confida di essere innamorata di Malcolm e che lui è senza speranza. Romanticamente Uberto rispetta la sua scelta e, non solo rinuncia a lei, ma prima di lasciarla compie un gesto molto generoso: le dona un anello del re Giacomo, invitandola a presentarlo al re per avere la grazia qualora lei, il padre o l’amante fossero in pericolo. Intanto giunge alla grotta anche Rodrigo seguito da uno stuolo di guerrieri; Uberto e Rodrigo si affrontano e infine si scagliano l’uno contro l’altro ingaggiando un aspro duello che li allontana dalla grotta seguiti da Elena e dai guerrieri. A sua volta Malcolm arriva alla grotta dove incontra Albina; la battaglia sta volgendo al peggio per i clan e lui è venuto a cercare Elena per metterla in salvo. Arriva anche Serano che dice che Douglas intende consegnarsi al re per evitare ulteriori sofferenze alla patria. Di questo ha informato Elena che è corsa alla reggia. Infine sopraggiungono alcuni guerrieri con la notizia che Rodrigo è stato ucciso e il re ha vinto. Disperato Malcolm parte con i guerrieri. Nella reggia di Stirling, dopo aver vinto in incognito il torneo indetto dal re per celebrare la vittoria, Douglas si consegna a Giacomo. Giunge anche Elena cercando del re e mostrando l’anello ricevuto da Uberto. Viene condotta da colui che crede Uberto e che si rivela essere re Giacomo. Generosamente il re perdona Douglas e gli restituisce il suo precedente stato di nobile. Elena chiede la grazia anche per Rodrigo, ma il re la informa che è morto. Poi fa venire avanti Malcolm, che è suo prigioniero, lo grazia e gli concede la mano dell’amata. Elena si abbandona ad un canto pieno di felicità e gratitudine per il sovrano e tutti cantano le lodi del re per la sua magnanimità.

Presentata il 24 ottobre 1819 con esito mediocre al San Carlo con lsabella Colbran (Elena) e Giovanni David (Uberto/re Giacomo), l’opera rimase assente quasi un secolo dalle scene per tornare nel 1958 con Tullio Serafin a Firenze nel pieno della Rossini-renaissance, poi alla RAI di Torino nel 1970 con la Caballé. L’edizione del 1992 al Teatro Alla Scala si avvale dell’edizione criti­ca presentata al Rossini Opera Festival nel 1981. Siamo nell’epoca Muti ed è infatti il Maestro a dirigere l’or­chestra del Tempio, con esiti non sempre felici in termini di leg­gerezza e agogica per i cantanti e con una visione della partitura di neoclassica freddezza, più che di protoromanticismo.

La stessa freddezza la troviamo nell’interpretazione della Anderson, corretta, ma non trascinante. Assenza di colori ed espressività anche per il Malcom della Dupuy. Di Rockwell Blake (Blacke nel di­sco) che dire? Sarà an­che il moderno creatore della parte di Uberto/Re, ma il suo canto gridato è decisamente fastidioso e la voce sgradevole più del solito. Sfocato anche Chris Merritt in Rodrigo. Un accettabile Surjan come Duglas completa il cast maschile.

La regia di Werner Herzog non ha nessuna delineazione dei personaggi e si limita a schierare il coro immobile e con lan­cia in pugno attorno ai cantanti principali anche nei momenti di maggiore intimità dei due protagonisti, i quali si muovono con gesti stereoti­pati e inespressivi. Le scene di Balò immergono la vicenda in una primitiva landa tra rocce cupe e scoscesi dirupi (chissà se uno dei due è mai stato in Scozia visto che la imma­ginano come un paesaggio pre-cam­briano e ipogeo) con dispendio di tonnel­late di cartapesta/re­sina e vernice nera. Anche il lago non è che una nebbiolina incastrata tra le nere stalagmiti. Pare di essere sul set di Conan il barbaro, ma senza Schwarzenegger.

Però sono i costumi di Blumauer il tocco finale. Onore al me­rito e alla professionalità dei cantanti per aver avuto il coraggio di andare in scena conciati così: la Dupuy è vestita come uno de­gli Ewoks (gli orsetti di Return of the Jedi), Bla­ke nel primo atto ha in testa un intero uccello (civetta o falco, non si capisce) e Merritt sotto la pelliccia ha una specie di len­zuolone rosa.

Nessun extra nel video né informazione scritta di accompa­gnamento nella confezione e questa è l’unica edizione video in com­mercio dell’opera di Rossini!