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Engelbert Humperdinck, Hänsel und Gretel
★★☆☆☆
Torino, Teatro Regio, 7 maggio 2015
25 anni. E li dimostra tutti.
La produzione di questo Hänsel und Gretel risale al 1991, quando l’opera venne data al Regio nella versione italiana di Giovanni Morelli con la regia di Tonino Conte e le scene di Emanuele Luzzati. Allora aveva diretto l’orchestra Maurizio Benini. Nel 1996 divenne uno spettacolo per le scuole con la stessa regia ripresa da Vittorio Borrelli e la direzione d’orchestra di David Angus. Ora viene riproposta per la terza volta, finalmente nella lingua originale, con la regia nuovamente di Borrelli e la direzione di Pinchas Steinberg. La lingua originale ci risparmia (ma non nei sopratitoli) le leziosaggini della edulcorata versione italiana di Gustavo Macchi in cui la Knusperhechse (la strega Rosicchiona, e sappiamo cosa rosicchi…) diventa la strega del Marzapane e il Sandmann (il nostro Babau) il mago Sabbiolino. Siamo d’altronde in una delle spaventevoli fiabe dei fratelli Grimm.
Le scene di Luzzati e i costumi di Santuzza Calì circoscrivono la lettura dell’opera alla sua mera componente fiabesca. Certo il lavoro di Humperdinck è frutto di quella cultura romantica tedesca di cui ci ha ricordato Carla Moreni nella presentazione dell’opera, ma già da subito le analisi di Freud, poi di Propp e soprattutto di Bettelheim hanno svelato dei meccanismi della fiaba i lati più reconditi che sono stati messi talora in luce in certi allestimenti di Hänsel und Gretel. Per non parlare della inquietante vicenda del forno in cui bruciare i bambini in un’opera figlia di quel paese che è sempre stato centrale nella cultura europea, ma che vedrà di lì a non molti anni lo svilupparsi di una ben diversa ‘cultura’ che farà dei forni crematori un agghiacciante e sistematico utilizzo.
Niente di tutto questo nello spettacolo torinese in cui l’infanzia è vista con gli occhi nostalgici degli adulti e la vicenda è narrata in modo pedissequamente didascalico. Non c’è nulla che non sia esatto, ma in questo allestimento manca la magia della fiaba e non bastano le bolle di sapone che scendono dall’alto o i pupazzi nei colorati costumi della Calì a darci un’emozione. La casetta di marzapane, con la sua gabbia/stia di bambù, è francamente deludente e miseramente realizzata. Il bosco notturno con gli angeli di compensato è da recita amatoriale.
La regia di Borrelli non ci fa mancare nulla: le trecce bionde, le fragole, le scope di saggina, la brocca del latte, i bambini-biscotti, ma sugli interpreti non fa un lavoro che vada al di là di qualche passo di danza, del dondolare la testa al ritmo dei valzerini dell’ultimo atto o del mettere le mani a visiera per scrutare in piena notte (?).
Dalla buca dell’orchestra, opportunamente ampliata per ospitare gli innumerevoli strumenti richiesti dalla partitura (tre flauti, due oboi, due clarinetti, quattro corni, due fagotti, due trombe, tre tromboni, basso tuba, tre timpani e percussioni assortite oltre agli archi) il maestro Pinchas Steinberg dirige in maniera corretta, ma certo non trascinante. E nella sua lettura mancano i momenti di struggente bellezza in cui Humperdinck si dimostra il vero e unico discepolo del genio di Lipsia: da quel tema dei corni con cui si apre l’opera, che più wagneriano di così non potrebbe essere, al magico momento della “preghiera dei 14 angioletti”, qui per di più rovinata dalla presenza di strane bestie con le lucine rosse e soprattutto dall’imbarazzante balletto sulle punte della “pantomima onirica” che chiude il secondo atto – cui però si deve dare il merito di aver riportato in scena il velo di Elvira, dei precedenti Puritani, qui finalmente candeggiato…
Buoni gli interpreti: Annalisa Stroppa presta la sua calda voce a Hänsel mentre Regula Mühlemann, la Papagena di recenti produzioni dello Zauberflöte, disegna una Gretel senza bamboleggiamenti e dalla tessitura sicura. Particolarmente vivace il padre Tommi Hakala, meglio qui che nel Tannhäuser di Holten, mentre per la parte della strega c’era da rimpiangere il più divertente tenore en travesti della produzione di Pelly a Glyndebourne.
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