Mese: Maggio 2015

CUVILLIÉS-THEATER

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Monaco (1753)

523 posti

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Costruito all’interno del Residenz da François de Cuvilliés il vecchio tra il 1751 e il 1753 e commissionato da Massimiliano III di Baviera. L’architetto belga si era già occupato della decorazione del palazzo del principe Elettore. Il 12 ottobre 1753 il teatro fu inaugurato con l’opera Catone in Utica del compositore italiano e direttore dell’orchestra bavarese di corte Giovanni Battista Ferrandini. Per questo teatro Wolfgang Amadeus Mozart compose le opere La finta giardiniera nel 1775 e Idomeneo nel 1781.

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La sala in stile rococo utilizza per le decorazioni modelli naturali quali fiori, frutti e palme riprodotti con grande precisione. Carlo Teodoro di Baviera nel 1795 lo aprì al pubblico e nel 1810. Dopo l’apertura del Nationaltheater (Monaco di Baviera) venne chiuso per essere riaperto nel 1857 con Massimiliano II di Baviera.  I danni subiti nella seconda guerra mondiale furono minimi poiché gli interni vennero smontati e riposti al sicuro. Poiché anche il palazzo aveva subito ingenti danni dai bombardamenti, il teatro fu rimontato dove prima era la farmacia. Il 14 giugno 1958 viene riaperto con Le nozze di Figaro e ancora di Mozart (l’Idomeneo) è l’opera con cui è stato riaperto dopo quattro anni di restauro nel 2008.

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L’auditorium è decorato in rosso e oro. I quatto piani contenevano palchi di cui sono stati rimossi i tramezzi per creare delle balconate alla francese. Nel mezzo del secondo ordine c’è il palco dell’Elettore che si sviluppa in altezza per due piani, sostenuto da due figure di Atlanti e riccamente decorato come il ridotto annesso. A mano a mano che ci si alza la decorazione diventa più sobria, così come sobria è la platea, riservata all’aristocrazia cittadina.

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KUNGLIGA OPERAN

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Kungliga Operan

Stoccolma (1899)

1200 posti

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Situato nel centro della capitale svedese lungo il Norrström e collegato al palazzo reale da ponte di Norrbro, la Kungliga Operan (l’Opera Reale) è sul sito della vecchia opera dell’architetto Carl Fredrik Adelcrantz che costruì il teatro nel 1782 dietro commissione del re Gustavo III, lo stesso che fu ucciso nel 1792 durante un ballo in maschera nel foyer (la vicenda ispirò poi i librettisti dell’opera di Verdi).David_Leventi_Curtain_Royal_Swedish_Opera_Stockholm_Sw_16793_360

Il vecchio edificio funzionò per oltre un secolo come “Opera Gustaviana” prima di essere demolita nel 1892 sostituita dalla nuova “Opera Oscariana”, in  quanto commissionata dal re Oscar II all’architetto Axel Johan Anderberg e inaugurata nel 1899 con una produzione dell’opera Estrella de Soria dello svedese Franz Berwald.

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Il maestoso edificio neoclassico ha un grande salone di marmo e un foyer dorato che conducono alla sala con tre ordini di balconate. La famiglia reale svedese ha a sua disposizione il palco reale al primo ordine.

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ZÁMECKÉ BAROKNÍ DIVADLO

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Zámecké Barokní Divadlo

Český Krumlov (1766)

440 posti

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Il castello di Český Krumlov, a pochi chilometri dalla frontiera austriaca, contiene un teatro barocco miracolosamente conservato e completo di scenari originali e vari arredi scenici, uno dei pochi teatri di questo tipo ancora esistenti. A causa della sua fragilità il teatro è usato soltanto una volta all’anno, quando avviene una rappresentazione  a lume di candela di un’opera barocca.

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Nel 1680 il principe Johan Christian di Eggenberg, grande appassionato e mecenate delle arti, fece costruire un teatro nel quinto cortile del suo castello di Krumlov, tra l’ex fossato e i giardini. Nonostante l’autore del teatro non sia chiaramente determinato, i lavori di costruzione furono affidati agli architetti italiani Giacomo Antonio de Maggi e Giovanni Maria Spinetti. Prevalentemente di legno e adiacente al muro est, la sala era larga quasi 20 metri, la profondità del palco era di 24 metri. Sul fondo c’era la tribuna reale che occupava quasi tutta la larghezza della sala.

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In questa forma si era conservato fino metà del 18° secolo. A quel punto, la tenuta apparteneva già alla seconda generazione dei Duchi di Scharzenberg e il principe Josef Adam decise nel 1762 di ricostruire il teatro. I piani per la ricostruzione furono probabilmente preparati da Andreas Altomonte.

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L’affresco della sala, il sipario e le decorazioni furono affidate ai viennesi Johann Wetschel e Leo Merkel. Le decorazioni denunciano l’ispirazione al protagonista della scenografia barocca, Giuseppe Galli Bibiena che già aveva disegnato il Markgräfliches Opernhaus di Bayreuth.

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Lavori fatti nel 1879 per riparare il tetto hanno portato una certa riduzione nel macchinario barocco, ma il teatro non è significativamente cambiato, così l’edificio e il suo equipaggiamento sono rimasti miracolosamente indenni. Nelle collezioni teatrali sono conservate 13 scenografie di base con un totale di circa 250 pezzi. Oltre 30 macchine per gli effetti teatrali, centinaia di  costumi e oggetti di scena, più di 400 pezzi di apparecchi di illuminazione tra cui vasi di terracotta a olio ne costituiscono il tesoro. Il teatro è stato utilizzato tra il 1958 e il 1966 per la rappresentazione di 61 spettacoli di musica classica e operistica. Nel 1966 il teatro è stato chiuso al pubblico per restauri, ma dal 1997 è nuovamente in funzione. Nel 2009, ad esempio, c’è stata la prima rappresentazione dell’opera perduta e poi ritrovata Argippo di Vivaldi che, insieme a vari altri concerti, ha fatto parte del nuovo Festival delle Arti Barocche.

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TEATRO VALLE

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Teatro Valle

Roma (1822)

600 posti

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Il teatro Valle venne costruito per un utilizzo privato per volere del nobile Camillo Capranica, già proprietario del teatro omonimo che lo aveva ereditato, all’interno dei cortili del suo palazzo. Il progetto fu affidato all’architetto Tommaso Morelli e l’inaugurazione si ebbe il 7 gennaio 1727 con la rappresentazione della tragedia Matilde di Simone Falconio Pratoli. Il teatro, la cui struttura era interamente lignea, si presentava come un classico teatro all’italiana, provvisto di cinque ordini di palchi ed un loggione, senza però un foyer effettivo. La programmazione prevedeva l’esecuzione di opere liriche, opere in musica e drammi in prosa. Il nome deriva dal primo direttore del teatro, Domenico Valle: alcuni sostengono che questa sia in realtà solo una coincidenza, attribuendo l’origine del nome al luogo dove esso sorgeva, detto appunto “alla valle”. Nel tempo si resero necessari nuovi lavori di ammodernamento per la manutenzione della struttura: così, nel 1764 e nel 1765 si operarono delle migliorie da parte degli architetti Giovanni Francesco Fiori e Mauro Fontana. Il continuo bisogno di manutenzione obbligò la famiglia Capranica ad affidare, nel 1791, nuovi lavori di ristrutturazione ai fratelli Francesco e Giandomenico Navona che, tuttavia, mantennero come i loro colleghi la struttura lignea del teatro, operando solo con rinforzi interni sullo stabile. Il 18 maggio 1812 avviene la prima assoluta di Demetrio e Polibio di Rossini, il 26 dicembre 1815  Torvaldo e Dorliska e il 25 gennaio 1817 La Cenerentola.

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La soluzione non convinse gli architetti del governo di allora, che ordinò la totale ricostruzione del teatro in muratura per renderlo idoneo alle norme di sicurezza sugli stabili teatrali. Nel 1818 i Capranica affidarono la progettazione del nuovo stabile a Giuseppe Valadier, che optò per una soluzione di largo respiro, che prevedeva l’abbattimento di alcuni palazzi adiacenti al teatro (compreso una parte dell’abitazione nobiliare della famiglia Capranica): rifiutato dalla commissione il progetto, il rifacimento avvenne in forma più modesta, con rinuncia dell’aspetto esterno neoclassicheggiante progettato dal Valadier. Per l’erezione della struttura muraria la sala perse un ordine di palchi, che si ridussero a quattro, mentre le dimensioni rimasero pressoché inalterate: gli ordini vennero comunque modulati in linee curve che fornirono eleganza e movimento. Il crollo di una parete del palazzo, che confinava col teatro, implicò il passaggio dei lavori dal Valadier all’architetto Gaspare Salvi, che terminò l’opera nel 1822. Lo stesso anno, il 26 dicembre, si ebbe l’inaugurazione con l’opera Il corsaro di Filippo Celli. Il teatro divenne pubblico, ottenendo dalla chiesa il privilegio di poter inscenare spettacoli anche fuori dai periodi canonici consentiti, ossia quelli del carnevale. Il 4 febbraio 1824 avviene la prima assoluta di L’ajo nell’imbarazzo di Gaetano Donizetti e il 7 gennaio 1827 quella di Olivo e Pasquale di Donizetti. Il 2 gennaio 1833 è la volta de Il furioso all’isola di San Domingo di Donizetti e il 9 settembre 1833 il Torquato Tasso ancora di Donizetti. Nel corso del XIX e del XX secolo il teatro fu oggetto di ulteriori ammodernamenti che videro coinvolti gli affreschi del soffitto, che venne ridipinto dal pittore Silvio Galimberti, il sipario e il palco reale. Con la definitiva dismissione dell’Ente Teatrale Italiano, il teatro Valle ha concluso temporaneamente l’attività il 19 maggio 2011. Il Teatro Valle è stato occupato il 14 giugno 2011, dopo la chiusura dell’ETI, da un gruppo di lavoratori dello spettacolo, attivisti e liberi cittadini per protesta affinché lo stabile venga mantenuto pubblico attraverso partecipazione popolare e gestito con criteri di trasparenza. Nei tre anni di autogestione, gli occupanti hanno elaborato nuove proposte di gestione dei teatri pubblici ma più in generale come ripensare dal basso nuovi modelli di politiche culturali.

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THÉÂTRE DU CAPITOLE

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Théâtre du Capitole

Tolosa (1818)

1156 posti

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Nel 1736 si decide la costruzione di un teatro degno della città di Tolosa secondo i disegni di Guillaume Cammas, pittore e architetto dell’Hôtel de Ville. Chiuso durante la rivoluzione, riapre nel 1818 completamente restaurato. Nel 1880 viene nuovamente modificato con una decorazione neo-barocca in cui risuonano le musiche di Verdi, Delibes, Bizet, Massenet, Gounod e della febbre wagneriana.

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Un incendio nel 1917 e la guerra hanno la meglio e nel 1923 ne viene costruito un nuovo sulle ceneri del vecchio, ma la Seconda Guerra Mondiale neanche questa volta risparmia l’edificio. Il 1950 vede un nuovo teatro moderno che però si rivelerà obsoleto. Nel 1996 ritorna il teatro all’italiana che coniuga modernità e tradizione nell’operazione condotta dagli architetti tolosiani  Yvonnick Corlouër e François Linarès, con l’apporto dello  scenografo Richard Peduzzi Un ultimo adeguamento alle norme di sicurezza viene portato a termine nel 2004.Toulouse-theatre_salle

THEATER AN DER WIEN

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Theater an der Wien

Vienna (1801)

1230 posti

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La compagnia di Schikaneder aveva già operato con successo, da diversi anni, nel più piccolo (800 posti) Theater auf der Wieden, dove era avvenuta la prima de Il flauto magico. Schikaneder, le cui messe in scena erano note per enfatizzare lo spettacolo e le scene, era così pronta a spostarsi in un teatro più grande e moderno. Aveva ricevuto un’autorizzazione imperiale per edificare un nuovo teatro già nel 1786, ma soltanto nel 1798 riuscì nell’intento di costruire la nuova sala.

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L’edificio venne disegnato dall’architetto Franz Jäger in stile impero (esso è stato poi ridisegnato) e completato nel 1801. Il nome deriva dal fatto che allora il teatro sorgeva sulla riva del fiume Wien che ha anche dato nome alla capitale austriaca. Lo spettacolo inaugurale del il 13 giugno 1801 fu il prologo Thespis Traum di Anton Friedrich Fischer, scritto da Schikaneder, seguito dall’opera Alexander di Franz Teyber. Il nuovo teatro si dimostrò sensazionale. Adolf Bäurle, un critico locale, scrisse «Se Schikaneder e la sua partner Zitterbarth avessero avuto l’idea … di far pagare l’ingresso solo per ammirare le glorie del loro Theater an der Wien, essi sarebbero certamente stati in grado di incassare grandi somme di denaro senza dare uno spettacolo». L'”Allgemeine musikalische Zeitung” la chiamò la «più confortevole e soddisfacente sala in tutta la Germania» (che significava, allora, «tutti i paesi di lingua tedesca»). Nel gennaio 1802 avviene la prima di Die Zauberflöte e in marzo di Lodoïska di Cherubini.007863Nel 1807 il teatro venne preso in gestione da un gruppo di nobili con a capo il conte Ferdinand Palffy che acquistò il teatro nel 1813. Durante il periodo della sua gestione egli mise in scena opere, balletti e per la prima volta a Vienna, pantomima e varietà, perdendo molti soldi in elaborati spettacoli che lo costrinsero a vendere il teatro all’asta nel 1826. Nel 1821 era avvenuta la prima di Armida e nel 1822 dell’Italiana in Algeri e del Barbiere di Siviglia.

007866Il teatro ha avuto un’epoca d’oro durante la fioritura dell’operetta viennese e dal 1945 al 1955, fu uno delle sedi temporanee della Wiener Staatsoper, il cui teatro venne distrutto dai bombardamenti alleati durante la seconda guerra mondiale. Nel 1955 venne chiuso per motivi di sicurezza e rimase tale per molti anni, fino ai primi anni 1960, in quanto doveva essere trasformato in un parcheggio multipiano.

007867Soltanto una parte dell’edificio originario è giunta ai nostri giorni: la Papagenotor (porta di Papageno) sulla Millöckergasse è un ricordo di Schikaneder rappresentato nel suo ruolo nel Flauto magico con i tre genietti. Il resto dell’edificio è del tutto moderno e si affaccia sulla Linkewienzeile.

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Una lapide afferma che Beethoven visse qui dal 1803 al 1804, dove scrisse parti della sua opera, la Terza sinfonia, la Sonata a Kreutzer e dove hanno avuto la prima il Fidelio e altri suoi lavori.

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TEATRO ALIGHIERI

Teatro Alighieri

Ravenna (1852)

835 posti

Il teatro venne realizzato per volere dell’amministrazione comunale a seguito del progressivo degrado del principale teatro dell’epoca, il Teatro Comunitativo. Nel 1838 l’amministrazione individuò presso la piazzetta degli Svizzeri il luogo ideale per la costruzione della nuova struttura, la cui progettazione fu affidata ai veneziani Tommaso e Giovan Battista Meduna, già restauratori del Gran Teatro La Fenice di Venezia. Dopo la prima progettazione di un edificio con facciata monumentale verso la piazza, il progetto definitivo del 1840, più ridotto, favorì l’orientamento longitudinale, con fronte verso la strada del Seminario vecchio, attualmente rinominata via Mariani. Nello stesso anno venne posata la prima pietra dell’edificio di ispirazione neoclassica, che ricordava nei tratti principali il teatro veneziano.

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L’inaugurazione avvenne il 15 maggio 1852 con Roberto il diavolo di Giacomo Meyerbeer. Nel 1929 fu realizzato un adeguamento tecnico con la creazione del golfo mistico, della galleria nei palchi di quart’ordine e il rinnovo dei camerini. Nell’estate del 1959 venne interrotta l’attività per necessità di consolidamento delle strutture: vennero completamente rifatti la platea e il palcoscenico, rinnovate le tappezzerie e l’impianto di illuminazione, con la collocazione di un nuovo lampadario. Le attività ripresero dopo quasi otto anni. Il successivo legame con il Teatro Comunale di Bologna e l’inserimento nel circuito ATER ha favorito il rinnovo del repertorio delle stagioni liriche, che però al termine degli anni 1970 vennero dirottate nell’arena della Rocca Brancaleone. Durante gli anni 1980 e anni 1990, altri restauri portarono al rifacimento della pavimentazione della platea, all’inserimento dell’aria condizionata, al rinnovo delle tappezzerie e all’adeguamento delle uscite, diventando sede ufficiale dei principali eventi operistici del Ravenna Festival.

PALAU DE LA MÚSICA CATALÁ

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Palau de la Música Catalá

Barcellona (1908)

2100 posti

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La storia del Palau è connessa a quella della società corale che tutt’ora lo utilizza per i suoi concerti e iniziative. È anche sede della scuola di canto dell’Orfeó Català. Venne progettato agli inizi del secolo da Lluís Domènech i Montaner. L’area designata ad ospitare il Palau è nel quartiere di Sant Pere in una via adiacente alla via Laietana.

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La prima pietra del Palau venne collocata nel 1905 e ci vollero tre anni per terminare l’intera costruzione; il palazzo fu considerato all’unanimità il simbolo della nuova architettura modernista catalana di cui da tempo l’ideatore cercava una sintesi. Il comune di Barcellona premiò per questo motivo il Palau nel 1909. Nel 1971 venne dichiarato monumento nazionale.

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Dal 1982 al 1989 il Palau fu oggetto di restauro ed ampliamento ad opera degli architetti Óscar Tusquets e Carles Diaz: nel 2000 iniziò la seconda fase dei lavori di ampliamento che dotarono il Palau di un edificio contiguo di sei piani di altezza in cui trovarono posto i camerini, la biblioteca, un archivio, una sala riunione e gli uffici. Per non togliere luce al palazzo, fu costruita una piazzetta sul lato sinistro dello stesso, operazione che costò l’abbattimento di un’ala di una chiesa attigua al Palau. Nel 1997 il Palau de la Música Catalá è stato dichiarato dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità.

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Le innovazioni architettoniche del Palau sono molteplici: concepito come uno spazio aperto, fruibile, da vivere a pieno, annovera tra i materiali utilizzati per la costruzione il vetro smaltato e il cristallo. Lo stesso ingresso è un esempio indicativo: studiato per non bloccare lo sguardo, non cela le strutture interne delle scalinate e di altri ambienti che rimangono quindi a vista. Esternamente, il Palau si presenta come un’architettura insolita e di spicco a causa di una certa sobrietà delle costruzioni circostanti. Sulla facciata principale, che dopo i lavori di restauro non ospita più l’ingresso al foyer originale, vi è sopra il portone un doppio colonnato che sorregge una ricca e complessa serie di archi e balconcini. La decorazione delle colonne è a mosaico a motivi floreali non sono casuali: una precisa ricostruzione della flora catalana è infatti il motivo conduttore di tutte le decorazioni.

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La sala concerti è rettangolare con disposizione dei posti a sedere semi ellittica e ha una particolarità unica al mondo: ha un lucernario a goccia ed ampie vetrate laterali che ne permettono l’utilizzo anche in assenza di luce artificiale. I motivi floreali e i colori utilizzati nelle vetrate e negli arredi ne permettono la comparazione con un giardino artificiale, di cui il lucernario rappresenterebbe il sole. Tutta la superficie del soffitto è ornata da rose in ceramica bianca e rosa. Il palco, sul quale è presente un organo del 1908, è decorato con statue femminili che suonano strumenti musicali: ciò rende vano l’utilizzo di scenografie ed abbellimenti, difatti scarsamente utilizzati durante i concerti.

palaumusicamuses_9105Diverse sculture adornano gli interni della sala e la facciata del Palau: nella sala sono presenti due gruppi scultorei, uno raffigurante un gruppo di fanciulle dedite a cantare una ballata catalana e l’altro raffigurante la Cavalcata delle Valchirie di Richard Wagner. Esternamente, situato a mo’ di cardine dell’edificio, posto sopra quello che era l’ingresso delle carrozze, vi è invece un gruppo scultoreo dedicato ai personaggi delle canzoni popolari catalane.palau-musica-catalana-photo_10799693-770tall

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THÉÂTRE ROYAL

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Théâtre Royal

Liegi (1820)

1040 posti

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Sede dell’Opéra Royal de Wallonie, è uno dei tre teatri lirici del Belgio. Nel 1816, il re Guillaume d’Orange aveva graziosamente ceduto alla città il terreno e i materiali dell’antico Convento dei Domenicani a condizione di edificarci un teatro. Con la posa della prima pietra nel 1818 iniziò la costruzione secondo i progetti dell’architetto Auguste Dukers in stile neoclassico e con la forma di un massiccio parallelepipedo. La facciata principale ha una colonnata di marmo e una balaustra al primo piano, mentre al piano terra ha dei portici che si affacciano sulla piazza.

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Il teatro è stato inaugurato  il 4 novembre 1820 e la città ne è diventata proprietaria nel 1854. La statua davanti all’edificio rappresenta il compositore belga André Grétry ed è opera dello scultore Guillaume Geefs. La base della statua contiene il cuore del musicista. Nel 1861 il teatro ha subito profonde trasformazioni con un ampliamento della sala e la decorazione rifatta secondo i canoni estetici del Secondo Impero.

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L’Esposizione Internazionale di Liegi del 1930 è l’occasione per l’installazione di un vasto frontone scolpito in facciata da Oscar Berchmans con figure allegoriche. Il 1967 è l’anno della creazione dell’Opéra Royal de Wallonie, costituita in associazione senza fini di lucro raggruppando, all’inizio, le città di Liegi e di Verviers. Dal 1990 la Communauté Française de Belgique è diventata il principale finanziatore.

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L’edificio ha subito nel 2009-2012 restauri importanti sia all’interno che all’esterno che ne hanno fatto uno dei teatri più moderni in Europa. Una struttura ultramoderna è stata costruita per aumentare l’altezza della scena e ospitare una sala polivalente. Il 19 settembre 2012 il teatro è stato riaperto con una rappresentazione dell’opera Stradella di César Franck in prima mondiale.

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Turandot

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Giacomo Puccini, Turandot

★★★★☆

Milano, Teatro alla Scala, 1 maggio 2015

(diretta TV)

Turandò, opera moderna

L’hanno chiamata “Turandò” fin dal primo momento e nonostante qualcuno ne correggesse la pronuncia, non c’è stato verso: su RAI5 si è continuato a chiamare così l’opera andata in scena con il consenso a denti stretti dei sindacati nel giorno della festa del lavoro per solennizzare la concomitante apertura dell’EXPO milanese.

Direttore e regista ci hanno ricordato che l’ultima opera di Puccini è del 1924 ed è di sconvolgente modernità. Due anni prima aveva debuttato il Wozzeck di Berg. Janáček, Ravel, Busoni, Hindemith, Stravinskij e Szymanowski avrebbero presentato i loro capolavori per il teatro proprio in quegli anni.

Riccardo Chailly non solo dà una lettura emblematicamente moderna della partitura, tutta irta di dissonanze e colori lividi, ma  dimostra che la scelta del finale scritto da Luciano Berio nel 2002, il quale si adatta perfettamente alle tinte orchestrali e alle armonie messe in luce dal direttore milanese, è l’unica possibile. La proposta di Berio è a tutt’oggi la sola alternativa valida al magniloquente finale di Alfano, ma meglio ancora sarebbe far terminare l’opera lì dove Puccini si è fermato. In quell’accordo di misi conclude infatti la grande stagione dell’opera italiana dell’Ottocento.

Perfettamente in linea con la lettura del maestro è l’allestimento del regista Nikolaus Lehnhoff, dello scenografo Raimund Bauer e della costumista Andrea Schmidt-Futterer. La scena è un opprimente ambiente chiuso (che solo alla fine si aprirà alla luce dell’esterno) con incombenti mura rosso lacca ricoperte di grossi chiodi/pioli che danno un effetto minaccioso alla città proibita dell’imperatore Altoum, ma dipingono anche un incubo dai colori primari, rosso e blu, scelti per dare un tocco antinaturalistico alla fiaba senza tempo del Gozzi. Le allusioni cinesi sono lasciate solo alla musica: gli spettacolari costumi in bianco e nero dei personaggi principali si ispirano ai manichini di Oskar Schlemmer e la prima apparizione di Turandot avviene in uno sfavillante abito disegnato da un Erté visionario. L’onnipresente e ondivago coro del «popolo di Pekino» è un’inquietante massa di elementi tutti uguali con una maschera bianca che annulla le individualità e in testa una bombetta più Arancia meccanica che Magritte con quei coltelli luccicanti sfoderati alla fine del primo atto.

Superlativo il cast femminile: Nina Stemme e Maria Agresta sono perfette nei ruoli che danno della donna due immagini del tutto contrapposte. Gelida potenza che diventa sgomento («Che nessun  mi veda… | La mia gloria è finita»), smarrimento («tormentata e divisa | fra due terrori uguali: | vincerti o esser vinta…») e infine passione, per la principessa cinese sono fasi incarnate in maniera esemplare dalla interpretazione del soprano svedese. I filati e le note tenute della Agresta hanno invece dipinto una Liù memorabile, mai stucchevole e giustamente osannata dal pubblico. Timur di gran lusso quello del bravissimo Alexander Tsymbalyuk, bravi anche gli interpreti dei tre ministri, Angelo Veccia, Blagoj Nacoski e Roberto Covatta, perfettamente inseriti da Lehnhoff in questa sua pantomima espressionista.

Lasciamo per ultimo il Calaf di Alexandrs Antonenko, unico punto debole dello spettacolo: voce grande ma traballante nelle note tenute, acuti sfocati, intonazione e dizione imperfetti, ma soprattutto personaggio senza fascino dalla vocalità uniformemente stentorea.

Lo spettacolo proviene ovviamente da Amsterdam, uno dei teatri lirici più stimolanti oggi in Europa.

La ripresa televisiva è stata affidata alla solita Patrizia Carmine, che questa volta non ha fatto lo scempio del Tristano di Chéreau, ma nemmeno ha reso al meglio lo spettacolo, anzi.

P.S. Questa è stata l’ultima produzione di Nikolaus Lehnhoff: il regista tedesco sarebbe mancato meno di quattro mesi dopo.