Victorien Sardou

Fedora

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★★★★☆

Opera in giallo

«Dopo 37 anni di assenza Fedora di Umberto Giordano è ritornata l’altra sera alla Scala diretta da Gianandrea Gavazzeni, regia di Lamberto Puggelli, con Mirella Freni e Plácido Domingo, accolta da un entusiasmo a dir poco trionfale». Così iniziava l’articolo di Duilio Courir sul “Corriere della sera” del 29 aprile 1993.

Il libretto di Arturo Colautti è tratto dal dramma omonimo di Victorien Sardou, interpretato al suo debutto nel 1882 da Sarah Bernhardt che Giordano vide a Parigi nel 1889. (E sarà l’interpretazione della stessa Sarah Bernhardt a convincere Puccini a mettere in musica La Tosca, sempre di Sardou). Le trattative per il testo durarono parecchio perché Sardou si convinse a cederne i diritti solo dopo il clamoroso successo dell’Andrea Chénier e quindi Fedora fu presentata al lirico di Milano quasi dieci anni dopo, il 17 novembre 1898 con Gemma Bellincioni ed Enrico Caruso. Anche questo fu un grande successo e Mahler portò subito l’opera a Vienna mentre a Parigi suscitò l’interesse di Massenet e di Saint-Saëns.

Fedora Romazoff è una principessa russa che sta per sposare il conte Vladimiro Andrejevič, figlio del capo della polizia imperiale. Non lo vedremo mai perché viene ucciso mentre il pubblico prende posto in sala. Fedora giura vendetta e nel secondo atto dà una festa a Parigi per smascherare il conte Loris sospettato dell’assassinio e segretamente innamorato di lei (tanto segretamente magari no visto che la prima cosa che fa è dichiararlo nella famosa aria «Amor ti vieta» che Caruso bissò alla prima). Quando Fedora sente la sua confessione del delitto, lo denuncia con una lettera al padre di Vladimiro. Ma presto scopre che quello non è stato un omicidio politico da addebitare ai perfidi nichilisti cui pensa appartenga Loris, bensì un delitto passionale in quanto il furfante aveva insidiato la prima moglie di Loris il quale aveva colto la coppia in flagrante adulterio. Fedora ora risponde con gioia all’amore di Loris e insieme si trasferiscono in Isvizzera. Ma qui i nodi vengono al pettine: Loris scopre che il fratello è morto in cella falsamente accusato di complicità dell’assassinio da una donna russa residente a Parigi e che la madre è morta di dolore di conseguenza. Loris capisce che la misteriosa donna è Fedora stessa la quale per il dolore e il rimorso si uccide con il veleno contenuto in una croce reliquiario che la donna ha sempre portato addosso. Fedora spira tra le braccia di Loris dopo averne ottenuto il perdono.

Scrive ancora Courir: «Fedora è una di quelle opere nelle quali non si è mai del tutto sicuri se sia più importante la musica o il testo drammatico. Si tratta di una storia che narra di nobili e di nichilisti russi, di un delitto d’onore che sembra un delitto politico e di un implacabile e fatale desiderio di vendetta, ma che in realtà è solamente una commedia borghese composta da mogli, mariti o quasi e da amanti. Il confronto sentimentale infatti tra Fedora e Loris rimane un poco isolato e la musica riesce con difficoltà a reggerlo. In questa impresa, a creare una vicenda di anime e di personaggi era riuscito Massenet nel Werther, sicuramente una delle fonti alle quali Giordano ha prestato attenzione».

L’opera ha una struttura molto moderna: inizia come in un giallo di Agatha Christie con l’ispettore di polizia che interroga i testimoni di un delitto. Massimo Mila ne coglie bene l’aspetto musicale: «un’inchiesta poliziesca iniziata con effetti di autentica suspense nella frammentazione del discorso strumentale in esitanti assolo di violino e clarinetto, e poi continuata su un fugato degli archi, significante l’arruffato dipanarsi delle indagini». Nell’atto parigino c’è poi un duetto su sottofondo di un pianista che suona un notturno di Chopin (o meglio un pezzo à la manière de Chopin) e poi un lungo passaggio unicamente orchestrale che sa già di musica da film (Giordano scriverà colonne sonore per il cinema negli anni ’30).

In questa produzione dalla Scala di Milano l’inverosimiglianza del libretto si aggiunge a certe ingenuità della regia di Puggelli (il corpo di Vladimiro riportato a casa nell’indifferenza generale) e all’impianto scenico di Luisa Spinatelli, mobili assortiti su una piattaforma circolare che ruota così lentamente che non si capisce a cosa serva. Paesaggi proiettati come fondali identificano le tre location: San Pietroburgo per il primo atto, Parigi il secondo e la Svizzera il terzo.

La Freni e Domingo, qui cinquantenni, esibiscono l’una la classe per interpretare la principessa Romazoff e l’altro lo squillo del giovane Loris, entrambi impegnati in un canto spiegato a piena voce appena appannato per la Freni, gloriosamente intatto per Domingo. Gli stessi cantanti riprenderanno l’opera in una nuova produzione al Metropolitan tre anni dopo diretta da Roberto Abbado, anche questa immortalata in DVD. Nel resto del nutrito cast si fa notare Alessandro Corbelli come vivace De Siriex.

Gianandrea Gavazzeni, che aveva già diretto l’opera alla Scala nel 1956 con la Callas e Corelli, dimostra la sua piena maestria e non si può non ricordare quello che di lui disse Fedele D’Amico a proposito delle sue interpretazioni, che «non sono soltanto esecuzioni incantevoli: sono silenziose e trasparentissime esegesi, che dicono più d’un commento scritto».

Immagine in formato 4:3, tre tracce audio e sottotitoli in cinque lingue “europee” sono le caratteristiche tecniche del DVD ArtHaus.

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Tosca

L'OPERA IN CASA 2

★★★★☆

Tosca nei luoghi e nei tempi di Tosca

Il secolo XX inizia nella lirica con un’opera e una figura femminile che rimarranno impressi nella memoria collettiva: La Tosca (1887), il dramma di Sardou, che Puccini aveva visto sulla scena a Parigi e a Milano. Il lavoro viene ridotto magistralmente dal musicista e dai librettisti Illica e Giacosa dagli originali cinque atti a tre – mancano infatti il secondo atto (la festa a Palazzo Farnese) e il terzo (la villa di Cavaradossi). Anche i 22 personaggi di Sardou vengono drasticamente scremati e i protagonisti assoluti sono solo tre – e tutti e tre risulteranno morti ammazzati prima della fine dell’opera.

Nota storica: nel febbraio 1798, in seguito all’invasione dello stato pontificio da parte dei francesi, Pio VI era stato costretto a lasciare Roma e il papa morirà nell’agosto 1799 in Francia. Poche settimane dopo i francesi abbandonavano l’urbe che veniva occupata dai napoletani che ponevano così fine alla Repubblica Romana. Nel marzo 1800 il conclave a Venezia aveva eletto il nuovo papa, Pio VII, il quale rientrerà a Roma il 3 luglio di quell’anno.
Atto primo. È il primo pomeriggio del 14 giugno 1800, nella chiesa di Sant’Andrea della Valle. Il pittore Mario Cavaradossi sta ritraendo in un quadro Maria Maddalena e le dà il volto della marchesa Attavanti, che ha visto più volte entrare in una cappella. Da questa cappella esce Cesare Angelotti, già console della repubblica romana soppressa dalle truppe napoletane e fratello della marchesa. Angelotti è evaso poco prima da Castel Sant’Angelo, dove il barone Vitellio Scarpia, capo della polizia, l’aveva imprigionato. Cavaradossi, di sentimenti liberali, gli offre rifugio nella propria villa. Sopraggiunge Tosca, cantante tanto famosa quanto avvenente e amante di Cavaradossi. Il quadro che ritrae l’Attavanti l’ingelosisce, ma, rassicurata da Cavaradossi, Tosca s’allontana. Cavaradossi e Angelotti lasciano la chiesa, nella quale entra poco dopo Scarpia, che ha iniziato le ricerche dell’evaso. Torna Tosca, per avvertire Cavaradossi che la sera dovrà eseguire a Palazzo Farnese una cantata per festeggiare la vittoria che l’esercito austriaco ha riportato a Marengo su Napoleone. Non trovando l’amante è ripresa dalla gelosia, che d’altronde Scarpia rinfocola. Da tempo desidera Tosca, e ordina al poliziotto Spoletta di pedinarla. Rimane quindi nella chiesa per assistere al Te Deum di ringraziamento per la sconfitta subita da Napoleone.
Atto secondo. Scarpia sta cenando in una sala di Palazzo Farnese, residenza romana dei Borbone di Napoli. Gli giunge la voce di Tosca che esegue la cantata celebrativa e decide di convocarla. Apprende poi da Spoletta che Angelotti è irreperibile, ma che certamente Cavaradossi conosce il suo nascondiglio, e quindi lo ha arrestato. Ha inizio l’interrogatorio: il pittore nega di conoscere il nascondiglio di Angelotti e impone il silenzio a Tosca, nel frattempo sopraggiunta. Scarpia lo sottopone a tortura e Tosca, disperata, rivela che Angelotti è nascosto in un pozzo del giardino della villa di Cavaradossi. Sopraggiunge il gendarme Sciarrone, e informa che a Marengo Napoleone non è stato sconfitto, ma ha vinto. L’esultante Cavaradossi è imprigionato. Rimasto solo con Tosca, Scarpia la ricatta: se gli si concederà, potrà salvare Cavaradossi e lasciare Roma con lui. È interrotto da Spoletta, il quale riferisce che Angelotti ha evitato la cattura uccidendosi. Tosca, sempre più sconvolta, chiede a Scarpia, in cambio di ciò che egli pretende, un salvacondotto per Cavaradossi e per sé. Scarpia acconsente, ma precisa che, non avendo egli la facoltà di graziare Cavaradossi, occorrerà simularne la fucilazione, con un plotone che sparerà a salve. Mentre compila il salvacondotto, Tosca impugna un coltello scorto sul tavolo al quale Scarpia stava cenando all’inizio dell’atto, e lo uccide.
Atto terzo. Sulla piattaforma di Castel Sant’Angelo. È l’alba, salutata dallo scampanio delle chiese di Roma e anche dal malinconico stornello d’un giovane pastore. Cavaradossi, in attesa di essere giustiziato, inizia una lettera di addio che un carceriere, in cambio di un anello, consegnerà a Tosca. Colto tuttavia dai ricordi dei giorni felici, si interrompe commosso. Ma Tosca giunge di lì a poco, mostra il salvacondotto all’amante, entrambi esultano. Tosca esorta Cavaradossi a fingersi colpito quando il plotone di esecuzione sparerà a salve: ma Scarpia la ha ingannata. La scarica dei soldati uccide Cavaradossi, e Tosca, disperata, sfugge a Sciarrone e a Spoletta, che hanno scoperto l’uccisione di Scarpia, e si getta nel Tevere che scorre sotto Castel Sant’Angelo, invocando la giustizia divina.

«Malgrado l’ottimo esito della prima rappresentazione [Roma, Teatro Costanzi, 14 gennaio 1900] e di quelle che immediatamente seguirono (in due anni quarantatré, in teatri italiani e esteri), Tosca disorientò una parte della critica. Anche perché, si scrisse più tardi, Puccini era incorso in un verismo sfrenato o addirittura nel grand-guignol, un genere teatrale che porta alle estreme conseguenze la formula naturalista-verista della cosiddetta tranche de vie e la sfruttava inscenando torture e delitti d’ogni genere. Ma il grand-guignol era nato a Parigi l’11 novembre del 1897, con Lui! di Oscar Méténier e soltanto nel 1908 fu importato in Italia. Certamente talune scene del secondo atto sono violente e anche truci. Truce è la scena della fucilazione di Cavaradossi, ma ancor più lo è quella della uccisione di Scarpia per mano di Tosca, che poi si prolunga per le implorazioni di soccorso della vittima e per il macabro cerimoniale che vede Tosca nettarsi le mani, ravviarsi i capelli, togliere il salvacondotto dalle dita raggrinzite dell’ucciso e infine accendere due candele e deporre un crocifisso sul petto della sua vittima. Ma mentre questo avviene, l’Andante sostenuto della piena orchestra, lugubre e ossessivo, rende scenicamente eloquente il silenzio di Tosca. Molto più che nella Bohème, Puccini gioca, in Tosca, sui motivi ricorrenti. Ne ha uno anche Angelotti, in orchestra e, sempre in orchestra, anche il sacrestano. È un motivo satirico quello del sacrestano (che è un essere pavido, untuoso, bigotto) correlato ritmicamente a un tic di cui il personaggio soffre (“E sempre lava” Allegretto grazioso in 6/8, atto primo). Quanto a Tosca, Cavaradossi e Scarpia, sono esseri in vario modo dominati dalla sensualità. Questo è evidente in momenti del loro canto divenuti famosi: l’Andante lento “Recondita armonia”, l’Andante lento appassionato molto “E lucevan le stelle” di Cavaradossi; il Largo religioso sostenuto molto “Tre sbirri… Una carrozza”, l’Andante lento “Ella verrà… per amor del suo Mario” di Scarpia e, infine, l’Andante lento appassionato “Vissi d’arte” di Tosca. “Dolcissimo con grande sentimento”, prescrive Puccini per quest’aria. È noto che in un primo tempo Puccini si mostrò restìo ad accordare un assolo alla protagonista nel momento culminante dello scontro con Scarpia. Cedette poi a quelle che si potrebbero definire come ragioni d’opportunità, e con molte raccomandazioni di pianopianissimocon grande sentimentodolcissimo all’orchestra». (Rodolfo Celletti)

La concentrazione della vicenda in tre scene e tre luoghi ben caratterizzati è l’idea di partenza del progetto del produttore televisivo Andrea Andermann a riprendere dal vivo a Roma una rappresentazione della Tosca di Puccini «nei luoghi e nei tempi» della vicenda. Ecco quindi il primo atto al mattino nella chiesa di Sant’Andrea della Valle, il secondo la sera a Palazzo Farnese, gentilmente concesso alla bisogna dalla Francia che qui ha la sua ambasciata, il terzo all’alba del giorno dopo sul terrazzo di Castel Sant’Angelo.

Con l’orchestra della RAI diretta da Zubin Mehta, che suona nell’auditorium e che è in collegamento video con la troupe televisiva e i cantanti a chilometri di distanza, si possono immaginare i problemi tecnici affrontati, e complessivamente risolti, di questa sfida. I numeri danno un’idea dell’impresa: 5 anni di progettazione, tre mesi di prove, quattro troupe in quattro luoghi diversi, 27 telecamere, chilometri di cavi e 107 paesi collegati in mondovisione. Il cast riunisce interpreti sulla cui affidabilità e professionalità non si discute: Catherine Malfitano, Plácido Domingo e Ruggero Raimondi. La regia è affidata a Giuseppe Patroni Griffi. Mentre la cinematografia è di Vittorio Storaro.

Quasi un omaggio alla stessa scena interpretata dalla Callas (l’unica esistente in video perché ricostruita per la televisione inglese alla Royal Opera House nell’edizione di Zeffirelli del 1964 con Tito Gobbi) è quella del secondo atto a Palazzo Farnese. Qui la Malfitano ha come modello la figura della divina scomparsa quindici anni prima.

Questo di “Tosca nei luoghi e nei tempi” è il primo progetto di una serie che seguirà, con risultati artistici inferiori, nel 2000 con “La Traviata à Paris”, il 2010 con “Rigoletto a Mantova” e il 2012 con una “Cenerentola secondo Verdone” nelle “delizie sabaude” del torinese.

Negli extra un lungo esasperante documentario in cui il regista televisivo Henri Poulain utilizza tutti gli effetti possibili dei video clip (split-screen, bianco e nero affiancato al colore, montaggio convulso, musica funk!) e taglia le interviste agli artefici dello spettacolo proprio nel momento in cui stanno per concludere la frase – d’altronde la televisione è così, no?

  • Tosca, Renzetti/Talevi, Roma, 3 marzo 2015
  • Tosca, Palumbo/Abbado, Torino, 17 febbraio 2016
  • Tosca, Steffens/Bieito, Oslo, 23 agosto 2017
  • Tosca, Villaume/McVicar, New York, 27 gennaio 2018
  • Tosca, Kozłowski/Wysocka, Varsavia, 3 aprile 2019
  • Tosca, Rustioni/Honoré, Aix-en-Provence, 6 luglio 2019
  • Tosca, Chailly/Livermore, Milano, 7 dicembre 2019
  • Tosca, Renzetti/Carrasco, Macerata, 22 luglio 2022