photo © Clarissa Lapolla
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Virgilio Ranzato e Carlo Lombardo, Il paese dei campanelli
Martina Franca, Palazzo Ducale, 30 luglio 2023
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L’operetta al massimo livello a Martina Franca
«Duetti con sgambettamenti e molta pornografia sparsa nei dialoghi e nell’intreccio del libretto». Così bollava il genere operettistico il “Giornale del teatro” nel 1918. Non andava meglio nel 1926 in piena era fascista quando su “Il Giornale d’Italia” si potevano leggere questa parole: «Guasto prodotto industriale che non ha nulla a che vedere con l’arte […] Musica fox-trotteggiante che sa di cocaina lontano un miglio […] Apoteosi della negromusicomania». L’operetta italiana, insomma, non si voleva conformare a quella “italianizzazione” propugnata dal regime, si rifiutava di risalire «alle fonti della nostra sana comunità, immortalata in opere che sono il vanto della nostra letteratura nazionale, ripetere i motivi di quella che fu la gloriosa opera buffa italiana». Ma al pubblico poco importava e si lasciava trasportare da quelle storie assurde piene di musica accattivante.
Già poco dopo l’unificazione del paese, nel 1866 a Milano le folle andavano in delirio per Se sa minga, “rivista” su testo di Antonio Scalvini e musica di Antonio Carlos Gomes, regista e librettista molto attivo nella scena milanese il primo, l’autore del Guarany il secondo. Con El barchett de Boffalora (1870) di Cletto Arrighi, massimo esponente della Scapigliatura, un pastiche di musiche di vari autori tra cui Offenbach, proseguiva questa straordinaria esperienza milanese che si protrasse fino al 1876.
Bisogna arrivare invece agli anni ’20 del nuovo secolo per ritrovare il massimo sviluppo dell’operetta in Italia, che riprende quella danubiana, soprattutto di Emmerich (Imre) Kálmán, adattandola alla cantabilità italiana. Uno dei maggiori esponenti fu Carlo Lombardo, impresario, librettista, direttore d’orchestra e compositore, che dal 1915 con La duchessa del Bal Tabarin al 1925 con Cin-Ci-La collezionò grandi successi. Di quel felice periodo è appunto Il paese dei campanelli, presentato al Lirico di Milano il 23 novembre 1923 con musiche di Virgilio Ranzato e sue.
L’operetta è ambientata in un paesino olandese in cui su ogni tetto sono posti dei campanelli. Secondo una leggenda, questi sarebbero le guardie del focolare domestico e inizierebbero a suonare nel momento in cui una donna si appresta a tradire il marito.
Atto I. Nel villaggio sono messi in evidenza tre personaggi con le rispettive mogli: Attanasio Prot è il borgomastro e marito di Pomerania, donna vecchia e brutta; Basilio Blum è il marito di Nela, la più dolce delle ragazze del villaggio; Tarquinio Brut è il marito di Bombon, la più vivace del villaggio e l’unica ad aver girato un po’ il mondo e aver avuto «dei precedenti». Un giorno una nave inglese attracca al porto a causa di un guasto ai motori. Il capitano Hans si invaghisce di Nela e resta abbastanza scettico rispetto alla storia dei campanelli che crede sia appunto solo una leggenda non verificata. Entra in scena La Gaffe, marinaio pasticcione, come suggerisce il nome. Hans gli comunica che nel paese non ci sono donne, o meglio, che le donne non sono per loro, visto che nessuna vuole verificare se la leggenda è vera o meno. La Gaffe propone quindi di inviare un telegramma all’Olympia Theatre di Londra per far arrivare delle canzonettiste e allietare la compagnia. Viene parimenti incaricato da Hans di spedire un telegramma alle mogli dei marinai per avvisarle del ritardo. Di notte il capitano riesce alla fine a sedurre Nela mentre Bombon conquista La Gaffe invitando il marinaio a raggiungerla in casa, ma lui non sa quale sia la dimora della amata e così fa un’altra gaffe ed entra in quella di Pomerania. Nel frattempo i cadetti raggiungono le altre donne del villaggio così che i campanelli iniziano a squillare su tutte le case e ciò fa capire ai mariti che la loro quiete coniugale è stata turbata. Inizia l’ostilità contro i nuovi venuti.
Atto II. Il giorno seguente La Gaffe ha un breve dialogo con Pomerania che scopre che lui è venuto a visitarla il giorno precedente e se ne esalta, ma il marinaio riesce a liberarsene. Segue una lite tra Bombon, La Gaffe e Tarquinio, dopo il quale si decide che sarà La Gaffe a posare con Bombon per le foto per delle cartoline. Quando i tre mariti si trovano faccia a faccia con La Gaffe, Hans e un altro ufficiale viene deciso che i mariti potranno svagarsi con le canzonettiste in cambio del danno subito. Bombon cerca di disincantare Nela facendole capire che il capitano non la ama davvero (lei infatti sa che è già sposato, ma non lo dice all’amica). Ma Nela, anche se incerta, cede ancore alle lusinghe del capitano. Arrivano al villaggio anche le canzonettiste che vengono riconosciute come le mogli degli ufficiali da La Gaffe, che si rende conto di aver invertito i telegrammi. Per via degli accordi, i marinai decidono di mandare in visita alle ragazze i mariti del villaggio, per scoprire presto che quelle sono le loro mogli.
Atto III. Il capitano Hans cerca di riappacificarsi con la moglie e Nela capisce di essere stata ingannata. Si viene ora a conoscenza del resto della leggenda: se in un particolare giorno dalle sei del mattino alle sei di sera non ci saranno tradimenti, il villaggio sarà liberato dalla magia dei campanelli, altrimenti durerà per altri venticinque anni. Si dà il caso che il particolare giorno sia proprio quello della partenza dei marinai. La Gaffe decide di portare l’orologio del paese avanti di un’ora per potersi unire a Bombon prima di partire; ma il trucco di La Gaffe non funziona e suonate le sei (che sarebbero le cinque) i campanelli iniziano a squillare. I cadetti e le loro mogli partono, lasciando infranto in cuore di Nela e alleggerendo quello dei mariti del villaggio, che alla fine si riappacificano con le spose.
A distanza di cento anni la improbabile vicenda ritorna sulla scena prestigiosa di un festival: il direttore artistico Sebastian Schwarz ha infatti inserito il titolo nella 49esima edizione del Festival della Valle d’Itria dedicata quest’anno allo studio della commedia con cinque opere, cinque sfumature di buffo. Qualcuno ha arricciato il naso e ha disertato: peggio per lui, si è perso un bellissimo spettacolo diretto in maniera impareggiabile da uno dei più grandi direttori di oggi.
Nel 2008, infatti, mentre lo dirigeva per la radio tedesca, Fabio Luisi si era innamorato della qualità musicale del lavoro di Lombardo e Ranzato ed ecco ora l’eccelso interprete di Anton Bruckner e Richard Strauss alle prese con la più popolare operetta italiana. Alla guida dell’orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari, l’ex direttore dei Wiener Symphoniker, della Staatskapelle di Dresda e direttore principale della Metropolitan Opera di New York ricrea con ineffabile trasparenza e impareggiabile gusto i ritmi di danza (“Balla la giava boccuccia di baci…”) e le marcette, come quelle che accompagnavano i giovani del Ventennio – Ranzato sarà anche l’autore dell’inno fascista Rataplan delle camicie nere… Ma soprattutto delle suadenti melodie che ti si appiccicano alle orecchie: “Nella notte misteriosa, se un tintinnar…”, “Notte di mister, notte di piacer…”, “Luna tu, non vuoi dirmi cos’è…”, “Nell’oscurità una coppia va…”. Sotto la sua bacchetta diventano più evidenti i rimandi alla musica danubiana e qualche momento tradisce un certo mahlerismo nella sua direzione. Nulla di male, anzi, si può benissimo nobilitare l’operetta togliendola dal genere dell’avanspettacolo dove qualcuno vuole continuare a confinarla.
Il perfetto equilibrio tra orchestra e palcoscenico è ancora più ammirevole in questa situazione all’aperto dove non si perde nulla dei suoni emessi dagli strumenti anche nei più esili pianissimi e dove le voci non sono mai coperte nei momenti di maggior intensità sonora. Mirabile anche la chiarezza e la precisione dei tre complessi finali che si ascoltano qui nella loro interezza. Deve essere infatti la prima volta che si può ascoltare nella sua completezza e con questa qualità musicale un lavoro spesso bistrattato da volonterose compagnie di giro o amatoriali. Una riscoperta che incanta per la freschezza di una partitura a cui viene data nuova vita con tale eleganza.
La compagnia di canto è all’altezza della situazione, a iniziare dalla vivace Bombon di Maritina Tampakopoulos dalla potente voce che svetta negli acuti, o dalla Nela di Francesca Sassu che risolve con grande sensibilità la parte della donna che vede infranto il suo sogno d’amore. In questo contesto di suoni delicati e leggeri non poteva starci un tenore stentoreo e squillante e Norman Reinhardt delinea alla perfezione Hans, incerto tra l’amore “sicuro” della moglie e il fascino della donna “bibelot”, dal «corpetto a calice di fior» di Nela. Il tenore americano ha sostituito con poco preavviso Paolo Fanale, l’interprete inizialmente previsto, e si può comprendere il suo non perfetto adattamento alla lingua e conseguente non ineccepibile dizione, ma dal punto di vista musicale riesce a risolvere il suo ruolo con seducenti mezze voci. Sia nei momenti solistici sia nei duetti con Francesca Sassu si apprezzano l’eleganza di stile e il timbro particolare. Silvia Regazzo presta la sicura voce di mezzosoprano al personaggio di Ethel, la moglie del capitano Hans, mentre come La Gaffe Matteo Macchioni esibisce una qualità vocale di tutto rispetto e uno spirito umoristico esemplare. Negli altri ruoli parlati si sono distinti gli attori Stefano Bresciani (Attanasio), Fabio Rossini (Tarquinio) e Pasquale Buonarota (Basilio), i tre mariti noiosi. Federico Vazzola en travesti è stato un’esilarante ma sempre misurata Pomerania. Perfetto il coro del teatro barese nei molti momenti in cui è previsto.
L’aspetto visivo dello spettacolo ha trovato la magia del tocco di Alessandro Talevi, che ha ambientato la vicenda nella sala da ballo di un transatlantico negli anni ’30, sottolineando così il gusto per l’esotico dell’Italia di allora mentre si costruiva un impero oltre mare. Con le belle scene e gli eleganti costumi d’epoca di Anna Bonomelli, il regista si sbarazza dell’Olanda prevista dal libretto, ma del tutto assente nella musica, nei nomi dei personaggi e nella loro vicenda, per ricreare l’Italia tra le due guerre, un periodo dove si realizzavano nuove opportunità ma nello stesso tempo si vivevano nuove repressioni per le donne, le quali per Mussolini dovevano ritornare a un destino dedicato alla procreazione. «In un certo senso, la storia de Il paese dei campanelli è un riflesso di un cosmopolitismo sottosopra degli anni ’20 e del suo oscurarsi verso il nazionalismo e militarismo degli anni ’30», scrive Talevi, «la rigidità stordente del codice morale seguito nel paese dei campanelli è in contrasto con la moralità liberale personificata dagli “esotici” inglesi e può forse essere letta attraverso la prospettiva italiana di quel tempo, un “guardare al di fuori” verso qualcosa di moderno, affascinante, straniero, desiderabile in un paese ancora dominato dalla struttura maschile e conservatrice di Chiesa e Stato». Ecco allora che dopo il breve momento di liberazione vissuto dalle donne con i cadetti, tutto ritorna nella solita tetra normalità. L’unica che si salva in questa produzione è la brutta Pomerania che alla fine riesce a imbarcarsi sulla nave. Chissà, il digiuno e la lontananza da casa indurranno qualche giovane ad accontentarsi anche della vecchia…
Talevi riesce a risolvere con grande intelligenza questa assurda vicenda di scambio di coppie scandita dall’alternanza di lunghi dialoghi recitati con momenti cantati e ballati costruendo un ambiente artificiale dove tutto è possibile, anche che entri una zebra e si metta a ballare tra le coppie. Sotto palme finte che danno il tocco esotico, gli abat-jour dei tavolini da tabarin con la loro luce sfarfallante simulano il tintinnare dei maledetti campanelli. Sulla destra tre portelloni danno accesso alla rugginosa fiancata della nave sul cui ponte superiore si vedono sfilare prima i cadetti, poi «le inglesine» con i mariti in mutande colti in flagrante adulterio. In mezzo una pedana per le esibizioni danzate, uno spazio ridotto per le quattro girls e i quattro boys del balletto che hanno fatto meraviglie con le ironiche e gustose coreografie di Annamaria Bruzzese. Tocchi di surreale umorismo punteggiano la paradossale vicenda che si dipana con ritmo preciso e una divertita e divertente partecipazione di tutti gli artisti coinvolti: cantanti, attori, ballerini, coristi.
Mio padre, che mi ha cresciuto a pane e operette, avrebbe molto apprezzato lo spettacolo, così come ha fatto il pubblico che ha applaudito a scena aperta dopo ogni numero musicale e alla fine della rappresentazione. Aspettiamo con curiosità la proposta di Schwarz per il prossimo anno, cinquantesimo nella storia del Festival della Valle d’Itria. È infatti sua intenzione di inserire un titolo operettistico ogni anno. E per dimostrare il suo interesse per il genere ha organizzato un convegno di due giorni il 30 e 31 luglio, “Operetta – An Assessment”, assieme all’Europäische Musiktheater-Akademie con la presenza di musicologi, direttori, registi e cantanti che hanno offerto il loro contributo su un argomento analizzato da ogni lato.
Il prossimo 29 settembre lo spettacolo sarà al Teatro Coccia di Novara con gli stessi cantanti. Sarà interessante riascoltare questa delizia con una differente direzione musicale.
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- Il paese dei campanelli, Gianola/Talevi, Novara, 29 settembre 2023
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