Giambattista Varesco

Idomeneo

 

Wolfgang Amadeus Mozart, Idomeneo

Aix-en-Provence, Théâtre de l’Archevêché, 8 luglio 2022

★★★☆☆

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Da Knosso a Kyoto

«La più bella opera di Gluck». Così è stato definito l’Idomeneo, il lavoro che un Mozart venticinquenne presenta a Monaco nel 1781 e che ora viene affidato da Pierre Audi, Direttore Generale del Festival lirico di Aix-en-Provence, all’attore e regista giapponese Satoshi Miyagi. Nato nel 1959, ha iniziato a realizzare spettacoli che riuniscono grandi opere letterarie e un metodo ispirato alla danza e alla clownerie. Nel 1990 ha fondato la compagnia Ku Na’uka con la quale ha diretto opere antiche e classiche europee e autori moderni giapponesi, basando il lavoro degli attori sulla ginnastica orientale e nel 1995 è stato invitato a dirigere l’Elettra di Sofocle al Teatro Antico di Delfi. Le sue incursioni nel teatro lirico sono al momento concentrate su due opere di Mozart: questo Idomeneo messo in scena al Festival di Aix-en-Provence e un Mitridate a Berlino.

Pedine di una partita a scacchi che non verrà giocata, nella lettura di Miyagi i personaggi sono statue issate su un basamento, sono cioè portati in scena su alti piedistalli in continuo movimento nella scenografia di Junpei Kiz. Il movimento dei piedistalli sul palcoscenico con il gioco luci di Yukkio Yoshimoto crea di tanto in tanto interessanti disposizioni e motivi esteticamente gradevoli come nel nel terzo atto quando si sono uniscono per creare un drammatico ritratto della sofferenza del popolo: uno sfondo di immagini violente e spaventose che ricordavano le pitture nere di Goya diventate rosso sangue. Ma non allontanano l’impressione di trattarsi di una esecuzione in forma di concerto con piattaforme mobili, totale mancanza di slancio drammatico, dove le interazioni personali sono annullate, il dramma d’amore tra Ilia e Idamante perde consistenza e rimane la questione del conflitto tra l’uomo e gli dèi, a cui Idomeneo ha incautamente sacrificato il figlio. Miyagi pensa a una situazione di guerra, quella del Giappone nel XX secolo con l’imperatore Hirohito al posto di Idomeneo, Hiroshima al posto di Troia e i militari nelle loro mimetiche al posto del popolo minacciato dal mostro venuto dal mare. I soldati che spostano i piedistalli sono le anime dei morti, intrappolate in una sorta di prigione, incapaci di raggiungere il Nirvana. Non hanno perdonato a Idomeneo il suo tradimento, sono loro che muovono i personaggi e dettano gli eventi, non Idomeneo, né altri in posizioni di potere. La principessa Elettra, per esempio, essendo stata tradita dalla sua classe, è stata ridefinita come una del popolo, quindi non è fissata su un piedistallo, ma è in grado di vagare liberamente, mentre Nettuno si esprime sotto forma di giradischi – come era successo per la dichiarazione di pace dell’Imperatore del Giappone per annunciare la fine della guerra, con la sua voce trasmessa in un discorso registrato per la radio.

Con i costumi di Junpei Kiz che si suddividono tra abiti occidentali, giapponesi antichi e uniformi moderne e costretti sui loro alti e stretti basamenti, i cantanti sono impegnati a mantenere l’equilibrio e a non farsi venire il mal di mare per il continuo ruotare delle basi. Cantano a loro stessi con gesti stereotipati, i duetti non sono più tali. Il più in difficoltà, e mai si sarebbe detto, con l’intonazione e le agilità della sua aria più impegnativa, «Fuor del mar ho un mare in seno» portata a termine con fatica, sembra sia Michael Spyres. Qualche problema di intonazione l’ha anche l’Elettra di Nicole Chevalier la cui aria finale «Ah! Smania… D’Oreste d’Aiace» in cui si lascia andare a un’esplosione di emozioni, è ricca di coloratura e di effetti vocalmente espressivi. 

Ineccepibile è invece la performance di Sabine Devieilhe che delinea un sensibile ritratto di Ilia con la sua voce ben sostenuta quando aumenta di volume, brillante e chiara, in grado di fornire salti, abbellimenti delicati e passaggi di agilità con consumata facilità e caratterizzata da precisione e gran controllo vocale in un legato senza soluzione di continuità. L’idea di affidare a un mezzosoprano la parte di Idamente – una via di mezzo tra il castrato originale e il tenore utilizzato più frequentemente – convince poco non tanto per la qualità della interpretazione di Anna Bonitatibus, ma perché si perde la necessaria virilità del personaggio che alla fine prende il potere. Linard Vrielink (autorevole Arbace), Krešimir Špicer (sensibile Alto Sacerdote) e Alexandros Stavrakakis (Oracolo) completano il cast dei solisti mentre attenti si dimostrano i coristi spesso impegnati in volenterose coreografie. Alla testa della sua Pygmalion, la famosa orchestra di strumenti d’epoca, Raphaël Pichon dà una lettura da opera seria pienamente informata in una versione ridotta, un compromesso tra quella di Monaco e quella di Vienna del 1786.

Idomeneo

Wolfgang Amadeus Mozart, Idomeneo

★★☆☆☆

Monaco, Prinzregententheater, 24 luglio 2021

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Migliorare Mozart?

240 anni dopo Idomeneo ritorna nel teatro in cui era nato nel gennaio 1781, ma quello che conclude il Festival dell’Opera di Monaco è una versione diversa dal solito: è infatti presunzione del direttore Constantinos Carydis e del regista Antú Romero Nunes che la drammaturgia di Mozart abbia bisogno di un aggiornamento, ecco dunque i recitativi decimati e nuove musiche introdotte.

I recitativi tagliati rendono talora incomprensibile la vicenda: ad esempio il primo coro dei prigionieri ai quali Idamante fa levare le catene, senza il recitativo che lo precede sembra il festante giubilo di sfaccendati con le mani in tasca tra i quali piroettano due ballerine. Ma c’è da dire che in mancanza di una vera regia tutti gli interventi del coro sono ugualmente statici e intercambiabili. Tagliati sono anche gli interventi solistici che li punteggiano. Per contro, come se la drammaturgia dell’Idomeneo ne avesse bisogno, vengono aggiunti pezzi estranei alla partitura: l’aria da concerto Ch’io mi scordi di te. Non temer, amato bene (scena con rondò) e la Fantasia in re per pianoforte.

L’elemento visivo della produzione si affida all’artista Phyllida Barlow, che per la prima volta porta in scena le sue sculture: strutture ferrose, formazioni rocciose, corrosi frutti della combinazione tra la tecnologia umana e la forza della natura – pezzi di una piattaforma petrolifera abbandonata, un molo arrugginito, resti di imbarcazioni spiaggiate nel letto dell’ex lago Aral, uno dei maggiori disastri ecologici degli anni decenni. Un ambiente post-catastrofe e un mare orribilmente inquinato è quanto ci suggerisce l’artista inglese con le sue enormi e pesanti strutture che una folla di figuranti sposta in continuazione.

Alla guida della Bayerische Staatsorchester la direzione di Constantinos Carydis risulta molto discontinua: a pagine che sarebbe eufemistico definire “trattenute” e a tempi “moderati” si alternano lancinanti scoppi sonori, nei timpani e negli ottoni soprattutto. Strumenti quali lo Hammerklavier, la chitarra barocca, l’organo positivo danno il colore o accompagnano i recitativi rimasti.

Matthew Polenzani, indimenticabile Don Ottavio, affronta la parte di Idomeneo, che non è proprio la stessa cosa. La voce è chiarissima ed esile fin quasi all’inconsistenza e anche le agilità di «Fuor del mare» non hanno la sicurezza necessaria. Come per tutti gli altri, la mancanza di chiare indicazioni sceniche rende il personaggio scialbo. Olga Kulchynska è una sensibile Ilia non sempre a suo agio nella tessitura. L’Idamante di Emily D’Angelo ha bella presenza ma la voce manca di colore. Hanna-Elisabeth Müller sarebbe una giusta Elettra se il timbro fosse un po’ meno metallico e l’espressione più controllata. Meglio l’Arbace di Martin Mitterrutzner, qui gratificato di tutte e due le arie, mentre Callum Thorpe presta la voce all’Oracolo e Caspar Singh si cala nolente nei panni del Gran sacerdote di Nettuno. Per tutti c’è il problema di una dizione non chiara che quasi non fa capire le parole: l’assenza di un interprete italiano si fa sentire molto.

La totale mancanza di una regia dei personaggi, che non fanno altro che passeggiare in lungo e in largo sul palcoscenico, viene “compensata” con gli interventi coreografici non memorabile di Dustin Klein dai movimenti che seguono fedelmente i suoni ma non aggiungono nulla alla drammaturgia.

L’ultima aria di Idomeneo è interrotta dopo i primi due versi «Torna la pace al core | torna lo spento ardore»: gli archi che inizialmente lo accompagnavano abbandonano la scena, lo lasciano solo e attacca subito il coro festoso e il balletto (qui coloratissimo) del finale: Polenzani seduto su una cassa con una lattina di birra in mano e sgranocchiando un panino li osserva perplesso – proprio come noi spettatori.

Idomeneo

Wolfgang Amadeus Mozart, Idomeneo

★★★★★

Milano, Teatro alla Scala, 7 dicembre 2005

(registrazione video)

Tempesta di mare alla prima della Scala

«Perplessità sulla regia», «Dissensi sull’allestimento», riportano i cronisti. E grazie, inaugurare la stagione del “Tempio della Lirica” con Mozart e con un allestimento problematicamente moderno! La prima Prima di Stéphane Lissner alla Scala non lascia gli animi indifferenti.

Nella regia di Luc Bondy ce n’è da far imbestialire i melomani che al minimo avviso di abiti contemporanei gridano alla blasfemia. Che poi la sua lettura non dia atto a particolari scandali poco importa, il pubblico ha elogiato con unanimità la parte musicale e si è diviso su quella visiva.

«L’Idomeneo è, a tutti gli effetti, per l’epoca in cui fu composto, un ponte sull’immediato futuro del teatro d’opera, ricco di sperimentale e naturale immediatezza. A questa concezione sembra credere il debuttante direttore inglese Daniel Harding che apre con successo la stagione scaligera con una idea chiara, senza tentennamenti, relativa all’umanità dei personaggi. Spariscono l’enfasi, l’eroismo ridondante, la maestosità di cartapesta per far posto alla dolcezza di due innamorati, Ilia e Idamante, a un padre che ha fatto il suo tempo, punito per non aver avuto il coraggio di sacrificare il figlio e a una donna appassionata, figlia di re e divorata da una drammatica gelosia. Una tensione espressiva, una inquietudine onnipresente, i tempi prevalentemente rapidi a scapito di un eccessivo spazio dedicato al lirismo, una impressionante varietà di colori orchestrali hanno imbevuto tutta questa meticolosa interpretazione, che tra l’altro si è avvalsa appropriatamente di un organico orchestrale ridotto […] con una ricerca timbrica, un po’ “secca”, che si traduceva in una esemplare trasparenza degli archi, lancinanti nei disegni discendenti» scrive Ugo Malasoma sulla direzione di Harding.

 

A proposito del cast ecco cosa scrive invece Stefano Jacini: «La migliore è sembrata Camilla Tilling (Ilia), per voce e presenza scenica, impeccabile nelle tre arie, specie “Zeffiretti lusinghieri”, identificati con bella invenzione registica coi biglietti amorosi trasportati dal vento che scrive a Idamante. Quest’ultimo (l’ottima Monica Bacelli, l’unica non esordiente alla Scala) è vestito da yacht-man con tanto di sacco da velista sulle spalle quando sta per partire con Elettra. Nei panni di costei è l’autorevole Emma Bell che, pur talvolta con dizione imprecisa, dà il meglio nel recitativo “Oh smania! Oh furie” e nella successiva aria, la più applaudita, dove trasforma il gorgheggio in un agghiacciante grido di follia. Steve Davislim è un Idomeneo prestante, sempre controllatissimo (ha dalla sua un timbro leggermente scuro, adatto alla parte), e supera con disinvoltura la grande prova di “Fuor del mar”. Efficace Francesco Meli come Arbace, con zucchetto turco e occhialini, pur privato dell’aria nel secondo atto si rifà ampiamente nel terzo».

La scenografia di Erich Wonder prevede un fondale dipinto che scorre con continuità per mostrare minacciosi paesaggi marini mentre i costumi di Rudy Sabounghi e la regia attoriale di Luc Bondy danno il tocco di modernità alla vicenda: «Come avveniva nel Settecento, l’epoca nostra può dunque tornare al mito antico nell’identico tentativo di lumeggiare fondamenti etici e civili utili a un confuso presente. E con ciò, senza forzatura alcuna ma anzi con la sublime semplicità delle cose ovvie, arriviamo direttamente al cuore della drammaturgia dell’opera. L’intero spettacolo, Bondy lo scandisce con un’asciuttezza sorprendente entro la quale i piccoli, continui gesti richiesti alla recitazione possiedono la portentosa verità della poesia: che in quanto tale aderisce come un guanto alla musica» è l’autorevole giudizio di Elvio Giudici.

 

Idomeneo

Wolfgang Amadeus Mozart, Idomeneo

★★★☆☆

Salisburgo, Felsenreitschule, 27 luglio 2019

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L’Idomeneo di Sellars e l’attualità del mito

La città è minacciata dalle acque: l’ira di Nettuno o il global warming? Idomeneo si gioca il futuro sacrificando il figlio come facciamo noi oggi con il nostro pianeta. Ecco il konzept suggerito da Peter Sellars per la sua messa in scena della prima opera seria con cui Mozart conquistava il pubblico della corte bavarese al Teatro Cuvilliés di Monaco nel gennaio 1781.

Questo Idomeneo è frutto della sua seconda collaborazione con Teodor Currentzis dopo La clemenza di Tito del 2017, l’ultima opera seria del salisburghese. Quella era centrata sui temi del terrorismo e delle migrazioni, questa su quello ecologico, non una gran novità di questi tempi e nel caso dell’Idomeneo ci aveva già pensato Michieletto nel 2013.

Sia il regista che il direttore esprimono un approccio molto disinvolto, soprattutto il secondo si prende molte libertà, come è il suo solito. Currentzis effettua un drastico taglio dei recitativi realizzando un continuum musicale in cui si perde l’equilibrio tra arie e “pause” recitate su cui si basa l’opera seria settecentesca di cui l’Idomeneo è la sintesi e l’ultimo vero prodotto. Ma non è l’unica libertà: riprese e cadenze molto libere, interludi al pianoforte, lunghe pause di silenzio. Se Arbace è privato di entrambe delle sue due arie, musiche estranee all’opera vengono invece introdotte: il terzo atto inizia con un numero del Thamos, re d’Egitto K345 dove la voce del Gran Sacerdote, qui quella di Nettuno, ammonisce i mortali: «Figli della polvere, tremate e rabbrividite | prima di insorgere contro gli dei! | Il fulmine vendicatore li protegge | contro il vano affronto dell’empio!» con il coro, schierato in platea. Inaspettato ma comunque congruo con la drammaturgia in quel momento. Un’altra novità è la scena con rondò della versione del 1786, «Non temer, amato bene», per Idamante prima del suo sacrificio. Per Elettra invece c’è l’intromissione dell’aria da concerto con pianoforte «Ch’io mi scordi di te» inserita al terzo atto. Nella drammaturgia di Antonio Cuenca Ruis manca anche la scena del sacrifico così che si passa subito all’intervento della voce di Nettuno e allo scioglimento del voto. Musiche strumentali prendono poi il posto del consueto finale formato dall’aria di Idomeneo «Torna la pace al core» e dal coro «Scenda Amor, scenda Imeneo». Di quel che rimane delle musiche originali si ammira comunque la capacità del direttore di gettare nuova luce su una musica che si pensava di conoscere bene: la trasparenza orchestrale, la dolcezza degli andanti, la frenesia dei momenti drammatici, la terribilità del coro «Oh voto tremendo». Validi strumenti sotto la sua bacchetta sono la Freiburger Barockorchester e il coro MusicÆterna di Perm su cui ha fatto un apprezzabile lavoro il direttore Vitaly Polonsky.

Nella regia di Sellars i personaggi sono quasi sempre presenti in scena, così che alcuni numeri musicali cambiano di significato perdendo il loro effetto, come nel caso della seconda aria di Elettra con Idamante lì accanto a lei, così che lo struggente canto solitario della donna diventa un’aria di seduzione per trattenere l’amato. E Idamante diventa banalmente l’eterno indeciso tra le due donne. Il regista manca alcuni momenti come quello della tempesta, che qui ha poco di terribile o la confessione di Idomeneo davanti al popolo, cadaveri ai suoi piedi vittime del mostro marino.

Nel suo sempre elegante e suggestivo apparato scenografico George Tsypin non utilizza il caratteristico fondale di pietra della Felsenreitschule: tutto si svolge sul palcoscenico, dove tubi trasparenti e luminosi spariscono nel pavimento, come le colonne del tempio di Nettuno. Forme traslucide ingombrano la scena, oggetti spiaggiati che poi vengono minacciosamente sospesi.

Al coro e agli interpreti è affidata un’ampia gesticolazione mentre i momenti coreografici sono condensati nei pochi minuti del finale con una specie di pantomina di Lemi Ponifasio affidata ai due danzatori Brittne Mahealani Fuimaono e Arikitau Tentau, quest’ultimo proveniente dalle isole del Pacifico che per prime spariranno sotto l’acqua a causa dell’innalzamento del livello degli oceani. Come succede talora nel teatro di regia l’idea prevale sulle necessità drammaturgiche e qui non si sentiva la mancanza di questa aggiunta, per di più su musiche estranee all’opera. Bruttocci sono i costumi di Robby Duiveman in cui le divise militari, mimetica azzurro mare per i greci e color terra per i cretesi, in realtà sembrano dei pigiami.

Russell Thomas è un nobile e autorevole Idomeneo, di bel timbro ma le agilità non sono la sua cosa migliore. Paula Murrihy è Idamante en travesti, vocalmente corretta ma il personaggio è piuttosto latitante. Sorpresa della serata è la Ilia di Ying Fang, voce di bellissimo colore, intensa espressività e buona dizione dell’italiano, cosa rara in un cantante orientale. Il soprano cinese incanta nel suo «Zeffiretti lusinghieri» intonato sul tempo espanso scelto da Currentzis e poi ancora nel duetto seguente, reso dal regista con grande sensibilità. Nicole Chevalier è un’Elettra di temperamento ma un po’ sopra le righe, secondo le richieste registiche, anche se non lesina legati e mezze voci in «Soavi zeffiri soli spirate» su un accompagnamento delicatissimo dell’orchestra e del coro e prima ancora in «Idolo mio, se ritroso». Grande successo di pubblico ha la sua aria da concerto. Efficace il resto degli interpreti.

Nella ripresa televisiva, lo stesso Sellars insiste con primissimi piani che cambiano totalmente la percezione dello spettacolo visto dal vivo. Un altro elemento che rende questo Idomeneo molto diverso, cosa non del tutto positiva.

 

 

L’oca del Cairo, ossia Lo sposo deluso

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Wolfgang Amadeus Mozart, L’oca del Cairo, ossia Lo sposo deluso

★★☆☆☆

Budapest, Eiffel Art Studios, 14 aprile 2019

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Un pasticcio fa rivivere due lavori mozartiani rimasti incompiuti

Un puzzle, come quello che compongono durante l’ouverture i cantanti in scena – la copia del ritratto postumo di Barbara Kraft (1819) – è lo spettacolo prodotto dall’Opera di Stato Ungherese. Un’idea a lungo coltivata dal direttore generale Szilveszter Ókovács e realizzata con la messa in scena di Attila Toronykőy e la bacchetta di Pál Németh.

«Due piccole meraviglie inutili, che nel loro insieme non hanno nulla da invidiare alle Nozze», così definisce il Gheon L’oca del Cairo K422 e Lo sposo deluso K430. Carli Ballola li chiama invece «miserabili progetti […] due aborti “buffi” che rappresentano con penosa efficacia lo stato di momentaneo disorientamento di un artista che aveva già dato al mondo […] una Entführung aus dem Serail e che vediamo rincorrere fallaci miraggi di commedie in musica su testi indegni». L’Osborne corregge questo giudizio impietoso: «La qualità della musica che Mozart scrisse sia per L’oca del Cairo che per Lo sposo deluso rivela come egli fosse tutto pronto per affrontare la sfida del Figaro, che comunque non sarebbe venuta che due anni dopo».

L’oca del Cairo nasce dall’incarico ricevuto nel 1783 dall’intendente dei teatri viennesi, conte Rosenberg Orsini. Non essendo disponibile Da Ponte, Mozart ripiega sull’Abate Varesco e il lavoro procede bene fino a che il compositore rinuncia per altri impegni più redditizi. Rimangono completati due duetti, tre arie, un quartetto e un finale. I frammenti furono venduti dalla vedova Mozart e pubblicati nel 1855, cinque anni prima dell’esecuzione a Francoforte.

Don Pippo, marchese di Ripasecca, ha rinchiuso in una torre Lavina, che intende sposare anche se lei spasima per Calandrino, e la figlia Celidora, innamorata di Biondelloma promessa al conte Lionetto; Biondello ha un anno di tempo per liberare la sua amata. Allo scadere del tempo fissato, il giorno delle nozze, dopo diverse peripezie Biondello riesce a entrare nella torre nascosto in una grande oca meccanica condotta da Pantea, la moglie di Don Pippo che era creduta morta. Pantea rivela la sua identità, e al vecchio marchese non resta che tornare con lei e accettare l’unione delle altre due coppie.

Lo sposo deluso, ossia La rivalità di tre donne per un solo uomo è l’opera per cui Mozart accantona la composizione del testo di Varesco ed è anche il primo esempio della collaborazione con Lorenzo da Ponte. Qui invece non sono noti i motivi dell’abbandono anche di questo lavoro, che rimane compiuto solo per l’ouverture, due arie, un terzetto e un quartetto.

Il vecchio Bocconio, prossimo alle nozze con la nobile Eugenia, viene deriso da Pulcherio, Don Asdrubale e dalla nipote Bettina per i suoi progetti matrimoniali. Giunta a Livorno dal promesso sposo, Eugenia riconosce l’amato Don Asdrubale, che credeva morto, ma presto si rende conto che questi gli è conteso da altre due spasimanti, Bettina e Metilde. Dopo mille intrighi Eugenia e Don Asdrubale si ricongiungono e Bocconio resta solo, assistendo anche all’unione di Bettina con Pulcherio e di Matilde con Gervasio.

Con i dodici pezzi musicali viene cucito un pasticcio che si ispira a L’oca del Cairo, con i personaggi di Don Pippo, Celidora, Calandrino, Lionetto, Lavina e Biondello cui si aggiungono Auretta e Chichibio. Quello che viene fuori sembra un test per il Figaro che seguirà, con personaggi che ne hanno la vivacità e incontinenza erotica ma non lo spessore psicologico.

Ancora mezzo vestiti i cantanti si avventano su una scatola di Mozartkugeln, le praline di cioccolato e marzapane vendute dalle Konditorei in Austria, prima di imbastire la scombussolata vicenda in cui succede di tutto e non succede nulla. La regia è piena di mossette e gag per lo più ridondanti e né i cantanti né la direzione musicale sembrano memorabili.

Il re pastore

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Wolfgang Amadeus Mozart, Il re pastore

★★★☆☆

Venice, Teatro La Fenice, 15 February 2019

2000px-Flag_of_Italy.svg Qui la versione in italiano

A second chance for a teenager Mozarti in Venice

Another Venetian proposal by the tireless Federico Maria Sardelli for a young Mozart. Il re pastore (The Shepherd King) is the last of the works of circumstance following Ascanio in Alba, written for the wedding of Archduke Ferdinand in Milan, and Il sogno di Scipione (Scipio’s Dream), intended for Archbishop Colloredo.

Here the occasion is the arrival in Salzburg of Prince-elector Maximilian III, celebrated in the magnanimity of the male characters of this work. Rulers in the Age of Enlightenment always loved to have their personal virtues being glorified in parallel with those of humble shepherds – modesty, loyalty and care for one’s own flock – so as to legitimise their natural right to exercise power…

continues on bachtrack.com

Il re pastore 

Wolfgang Amadeus Mozart, Il re pastore

★★★☆☆

Venezia, Teatro La Fenice, 15 febbraio 2019

2000px-Flag_of_the_United_Kingdom.svg Click here for the English version

A Venezia un’altra possibilità per l’adolescente Mozart

Seconda proposta veneziana del giovane Mozart da parte dell’infaticabile Federico Maria Sardelli. Il re pastore è l’ultimo dei lavori di circostanza dopo l’Ascanio in Alba, scritto per le nozze dell’arciduca Ferdinando a Milano, e Il sogno di Scipione, destinato all’arcivescovo Colloredo. Qui l’occasione è il passaggio a Salisburgo del Principe Elettore Massimiliano III celebrato nella magnanimità dei personaggi maschili di quest’opera: i despoti dell’epoca dei lumi hanno sempre amato sentirsi decantare le loro virtù personali in parallelo a quelle degli umili pastori – modestia, fedeltà e sollecitudine per il proprio gregge – così da legittimare il diritto naturale ad esercitare il potere.

Nell’aprile 1775 quando Il re pastore fu rappresentato a Monaco, Mozart aveva 19 anni. Cinque anni erano dunque passati dal Sogno di Scipione e mentre là il modello di riferimento era l’opera seria con la sua rigida successione di recitativi secchi e arie solistiche, qui è il modello pastorale a prevalere con la sua semplice drammaturgia, una struttura musicale più flessibile con arie armonicamente meno rigide, spesso con strumento solista obbligato, pezzi di insieme e recitativi accompagnati. Se nel Sogno Mozart guardava al passato, qui sembra presagire il futuro con momenti che anticipano l’Idomeneo.

Il testo di Pietro Metastasio, che è del 1755 ed è stato messo in musica da almeno 25 compositori tra cui Hasse e Gluck, per Mozart viene ridotto in due atti da Giambattista Varesco, il librettista dell’Idomeneo. Vi si narra di Alessandro il Macedone che, conquistata la città di Sidone, ne sopprime il tiranno usurpatore e decide di ripristinare sul trono il legittimo erede Abdalonimo che, spodestato, vive ignaro da pastore col nome di Aminta.

Atto primo. In un prato. La città di Sidone si vede da lontano. Elisa è con il suo amante Aminta, il pastore. Lei gli assicura che la guerra tra il re Alessandro e Stratone, il tiranno di Sidone, non influenzerà il loro amore reciproco. Dopo aver deposto Stratone, Alessandro cerca il legittimo erede di Sidone. Pensa che Aminta sia l’erede legittimo. Viene da Aminta sotto mentite spoglie e gli propone di portarlo da Alessandro. Aminta vuole rimanere un pastore. Nel frattempo, Agenore incontra la sua amata Tamiri, figlia di Stratone. Tamiri è confortata nel sapere che Agenore la ama ancora. Elisa ottiene da suo padre il permesso di sposare Aminta. Aminta dice a Elisa che lui è il legittimo erede al trono e che suo padre è stato cacciato da Stratone quando era un bambino. Aminta promette di tornare da Elisa dopo aver rivendicato il suo trono. Aminta ama Elisa ma Alessandro suggerisce che quando Aminta viene acclamato re, i doveri reali hanno la precedenza sull’amore. Alessandro suggerisce a Tamiri di sposare Aminta per salire al trono di suo padre. Aminta non è d’accordo.
Atto secondo. Campo macedone. Elisa è impedita da Agenore di vedere Aminta. Egli scoraggia anche Aminta dal perseguirla. Alessandro dice ad Aminta di vestirsi come un re per essere presentato ai suoi sudditi. Decide anche che Tamiri sposi Aminta. Aminta è sconvolta. Agenore è sconvolto. Egli dà la notizia a Elisa. Tamiri non vuole sposare Aminta. Anche Agenore è tormentato dal previsto matrimonio. Tamiri dice ad Alessandro che lei e Agenore sono innamorati. Le donne si gettano alla mercé di Alessandro. Elisa lo prega di restituirle Aminta che dichiara il suo amore per Elisa. Rendendosi conto della potenziale ingiustizia che stava per infliggere, Alessandro dice ad Aminta di sposare Elisa e a Tamiri di sposare Agenore. Aminta viene incoronato re di Sidone.

Dopo una sinfonia iniziale diretta con grande vivacità da Sardelli, tre soprani e due tenori sono impegnati in 14 numeri musicali che sviluppano un’azione chiara e lineare ben diversa dai complessi intrighi degli altri drammi metastasiani. Aminta e Alessandro hanno tre arie a testa, gli altri personaggi due e ci sono poi un duetto e un tutti finale. Alla prima esecuzione era stato utilizzato un castrato per il personaggio di Aminta, il celebrato Tommaso Consoli, ma qui siamo in Italia dove la pratica dei controtenori non è ancora ben digerita e per il direttore Sardelli poi è fuori discussione. Nel ruolo titolare abbiamo quindi un soprano, l’eccellente Roberta Mameli che alla sicura vocalità affianca una vivace presenza scenica con cui accentua il carattere maschile del personaggio, un ragazzaccio che si arrampica sugli alberi ma che sa anche esprimere l’infinita dolcezza dell’aria «L’amerò, sarò costante» con violino obbligato, un gioiello di questa partitura che anticipa la sublimità della «Ruhe sanft» della Zaide di 5 anni dopo. Qui poi si gioca sull’ambiguità della dichiarazione: è ad Elisa che pensa Aminta, mentre Elisa crede invece che si tratti di Tamiri.

Predominano le voci femminili in questo spettacolo con l’intensa Tamiri di Silvia Frigato e la fresca spontaneità dell’Elisa di Elisabeth Breuer. Alessandro è Juan Francisco Gatell, un esperto in questo repertorio ma anche per lui le ardue acrobazie vocali richieste dalla parte non sono una facile impresa. Francisco Fernández-Rueda è Agenore. Sardelli sfronda senza pietà i recitativi metastasiani per diminuire la lunghezza dell’opera.

In origine Il re pastore non fu rappresentato in forma scenica e fu pertanto denominato “serenata”, qui invece al Teatro La Fenice la messa in scena c’è ed è affidata ad Alessio Pizzech con le scenografie di Davide Amadei e i moderni costumi di Carla Ricotti. Invece della «vasta e amena campagna irrigata dal fiume Bostreno» qui abbiamo una landa desertica dove un furgone abbandonato, dal cui finestrino spunta il tronco di un albero, funge da «rozzo angusto tetto» di Aminta. Nel secondo atto le rocce sono sostituite dalle alte siepi verdi della dimora di Alessandro con l’albero che perde le foglie per poi coprirsi di fiori nel festoso finale. Il regista cerca di riempire i “tempi morti” dei dacapo, non riuscendoci sempre in maniera efficace, ma dimostra intelligenza nella cura attoriale dei cantanti e non nasconde lo stato di gravidanza dell’interprete di Tamiri, ma utilizza l’occasione per rendere più intimo e toccante il suo rapporto con Agenore. Ed è su Tamiri che si accentra l’attenzione del regista, come se fosse il personaggio più interessante della vicenda facendole trascinare una valigia che contiene la spada che ha ucciso il padre tiranno, quasi un’Elettra che porti sempre con sé l’arma della vendetta.

Come riconosciuto dai grandi esegeti dell’opera di Mozart, Il re pastore sembra un lavoro che meriti di essere inserito in repertorio per le indubbie qualità della sua scrittura in sé, non solo perché fa presagire il genio delle opere che seguiranno.

Idomeneo

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Wolfgang Amadeus Mozart, Idomeneo

★★★★☆

Valencia, Palau de les Arts Reina Sofía, 1 maggio 2016

2016: Idomeneo nello spazio

Quando Mozart era ancora a Salisburgo gli era arrivata la commissione per un’opera seria su soggetto mitologico per il Carnevale del 1781 dall’Elettore di Baviera Karl Theodor. Sei anni prima era già stata rappresentata con successo alla sua Corte La finta giardiniera. Il 5 novembre 1780 il musicista è dunque a Monaco per completare, a contatto dei cantanti e dell’orchestra, la sua dodicesima opera, che porterà il numero di catalogo K366. Un’opera completamente diversa dalle precedenti e dalla gestazione complessa e sofferta.

A fine novembre muore l’imperatrice Maria Teresa. Il fatto però non ha fortunatamente conseguenze e le prove procedono normalmente. Non mancano le solite difficoltà con i cantanti, i tiranni illustri e capricciosi dell’opera settecentesca, ma dopo numerosi rinvii l’opera va finalmente in scena al Cuvilliés, la sala teatrale del Residenz, il 29 gennaio 1781. Arrivati da Salisburgo ci sono anche Leopold e Nannerl, accampati in casa del figlio «come zingari e soldati». Le tre recite hanno successo soprattutto per l’aspetto scenografico dello spettacolo, come riporta una critica del tempo che neanche menziona il nome del compositore: «L’autore, il compositore e il traduttore sono tutti originari di Salisburgo; le scenografie, tra cui la mirabile vista del porto o il tempio di Nettuno, sono il capolavoro del rinomato scenografo di corte Lorenzo Quaglio e furono grandemente ammirate da tutti».

I cantanti sono le sorelle Wendling, ottime voci, affidabili e care amiche di Mozart fin dai tempi di Mannheim (Dorothea è Ilia ed Elisabeth Elettra); Idomeneo è Anton Raaf (ultrasessantenne divo in declino); il castrato Vincenzo dal Prato Idamante; Domenico de Panzacchi Arbace; Giovanni Valesi il Gran Sacerdote. Sulla scelta degli interpreti le lettere di Mozart al padre testimoniano il travaglio del compositore, soprattutto per quanto riguarda la scelta del castrato: il Manzuoli era brillante ma testardo, il Rauzzini immaturo e imprevedibile, il Tenducci aveva una bella voce adatta alla parte ma era un noto libertino, il Marchesi era un cantante buono, ma era appena stato avvelenato da un rivale geloso! Il dal Prato non era tenuto in grande considerazione dal compositore ed è questo uno dei motivi per cui a Vienna nel palazzo del principe Auersperg nel 1786 il ruolo di Idamante da castrato diviene tenore, vi furono alcune modifiche e si perse il balletto finale in quanto l’esecuzione fu in forma di concerto.

Presentato a Torino sei anni fa, l’Idomeneo di Davide Livermore è ora in scena a Valencia, nel teatro di cui è sovrintendente e direttore artistico, il Palau de les Arts “Reina Sofía”, in un allestimento del tutto nuovo. Nel frattempo il mondo è cambiato e la sua regia non può fare a meno di prenderne in carico l’attualità: quante imbarcazioni nel nostro Mediterraneo sono ora prede dell’ira di Nettuno in mare e di approdi ostili in terra!

Nella lettura di Livermore l’opera di Mozart diventa un canto alla tolleranza contro la violenza e l’ingiustizia. Idomeneo è di ritorno da un viaggio spaziale e non pochi sono i rimandi al film del 1968 di Stanley Kubrick 2001: A Space Odissey: il finale dello spettacolo ne è una citazione quasi testuale. Videografica e specchi sono utilizzati in modo molto pertinente così come passerelle calate dall’altro che rimandano ai viaggi per mare, ma anche nello spazio. Se nell’allestimento torinese ci trovavamo in fondo al mare, qui l’elemento liquido lo troviamo in scena: tutti sguazzano nell’acqua di questa spiaggia da The Day After di approdi sofferti e impossibili partenze. E il balletto finale, durante il quale Idomeno agonizza accasciato su una poltrona, è tutto un gioco di spruzzi sollevati dai danzatori.

La lettura di Livermore affronta diversi temi: non solo il rapporto tra padre e figlio, tra il potere dei vincitori e il dramma dei vinti, ma soprattutto il viaggio dell’uomo alla ricerca di sé stesso. A un certo punto dello spettacolo uno specchio scende dall’alto e riflessi ci saranno non solo Idomeneo e Ilia, con il loro taciuto rapporto (1), ma anche l’orchestra con il maestro concertatore e noi del pubblico che saliremo così virtualmente sulla scena. Il viaggio a ritroso nel tempo – e l’immagine di un feto, esattamente come in Kubrick, ce lo conferma – è anche un viaggio verso la “divinità”, che ha le fattezze di un padre un po’ mostruoso, tra le cui braccia lasciarsi morire.

La scenografia, di Livermore stesso, la regia luci di Antonio Castro e la videografica della collaudata D-WOK creano uno spettacolo visualmente pregnante appena inficiato dai costumi anni ’70 abbastanza incongrui di Mariana Fracasso.

Con un cembalo per i ripieni e un fortepiano e violoncello per i bellissimi recitativi, l’ottima orchestra valenziana è diretta da uno specialista della musica del Settecento, Fabio Biondi, che qui dà una lettura vigorosa e giustamente drammatica della partitura in consonanza con la visione del regista.

Quasi con la stessa età dell’originale Raaf della prima, Gregory Kunde è un Idomeneo di dolente umanità la cui vocalità continua a stupire per freschezza, agilità ed eleganza del fraseggio. Qui gli anni più che pesare danno ancor più intensità al personaggio. Tra gli altri interpreti note positive si hanno in quelli giovani, tutti ex-allievi del Centro di Perfezionamento Plácido Domingo, la scuola che condivide gli straordinari spazi dell’edificio di Calatrava. Tra questi la brasiliana Lina Mendes, un’Ilia sensibile e con una bella linea di canto. Invece l’Idamante della Bacelli (mezzosoprano en travesti che ha sostituito l’originariamente prevista Varduhi Abrahamyan) si è rivelato vocalmente aspro o alternativamente afono e con inopportuni interventi parlati mentre l’Elettra della Romeu, di casa qui a Valencia, si è rivelata un po’ troppo sopra le righe tanto che non è sembrato necessario moltiplicare la sua enfatica presenza con controfigure.

La complessità della proposta scenica e musicale ha convinto pienamente il pubblico che ha accolto alla fine con calorosi applausi tutti gli interpreti.

(1) Nel libretto il Varesco sorvola prudentemente sulla pericolosa passione di Idomeneo per Ilia, preda di guerra.

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Idomeneo

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Wolfgang Amadeus Mozart, Idomeneo

★★★★★

Vienna, Theater an der Wien, 13 novembre 2013

(video streaming)

La terra devastata di Idomeneo

Sono sempre più convinto che Damiano Michieletto abbia bisogno di un testo ad alta drammaticità per esprimersi al meglio. Gli allestimenti più riusciti del regista veneziano sono quelli in cui il dramma è preponderante sulla commedia, il pathos sul logos, il tragico sul leggero: i suoi Sigismondo, Guillaume Tell e Un ballo in maschera mi sembrano più riusciti del suo ultimo Flauto magico, de La gazza ladra o dell’Elisir d’amore, in cui il magico, il lirico o l’umoristico prevalgono sull’idea drammatica. L’Idomeneo del Theater an der Wien, opera certo non rassicurante nella produzione mozartiana e sua prima grande “opera seria”, appartiene al primo caso ed è uno degli allestimenti di Michieletto più convincenti.

Come nel Guillaume Tell anche qui il rapporto padre-figlio ha una rilevanza totale, fin dal video che accompagna l’ouverture dell’opera. Lo sciagurato voto fatto da Idomeneo al dio del mare, di sacrificargli cioè la prima persona che incontrerà sulla spiaggia, è il movente della tragedia che coinvolge padre e figlio in questo desolato dopoguerra. E Idamante non solo sostituirà il padre sul trono, ma diventerà padre lui stesso del figlio che Ilia porta in grembo e di cui vedremo a un certo punto anche l’ecografia.

La guerra è finita, ma a caro prezzo: «una terra devastata dagli elementi, acqua e vento, cataste di detriti, un popolo atterrito e lacero. […] Creta è un rettangolo di terra martoriato, cosparso di scarponi e via via bruttato di detriti e oggetti, costantemente senza pace, via via che l’uragano infuria sull’isola a causa dell’atroce giuramento del re. […] Con sortilegi da ipnotizzatore Michieletto piega tutti alle esigenze della sua lettura drammatica, ottenendo un risultato di forte impatto emozionale, ma mai sganciato dalla musica e dalla lettera del libretto. Formidabile sotto questo aspetto la collaborazione creata con René Jacobs, che ha fatto ormai della Freiburger Barockorchester uno strumento raffinato e mobilissimo, grazie al quale concerta e dirige con una ricchezza di colori e dettagli di stupefacente ricchezza, senza però perdere di vista la percepibile unità drammatica che concatena ogni scena, atto per atto». (Andrea Penna)

René Jacobs adotta la versione di Monaco del 1786, ma elimina l’aria di Arbace del secondo atto e la marcia del terzo. Il taglio poi di alcuni recitativi sembra dettato dalle scelte drammaturgiche di questa scura e opprimente messa in scena. Sarebbero stati piuttosto incongrui i versi in cui Ilia canta di «aure amorose, piante fiorite e fiori vaghi» in quella specie di discarica in cui la distesa di sabbia del fidato scenografo Paolo Fantin anticipa il futuro fango di Divine parole. Tutte le sfumature del grigio sono presenti in scena, ma contrappuntate dal rosso del sangue e dagli abiti di Elettra. Alti tendaggi si gonfiano con i venti delle tempeste di cui è costellato questo lavoro della prima maturità mozartiana. La musica del balletto finale accompagna la sepoltura di Idomeneo e le doglie di Ilia mentre il suo parto tra gli stracci e le macerie risveglia gli echi tragici degli eventi della nostra sventurata contemporaneità, ma anche riafferma il ciclo della vita.

L’accuratissima regia attoriale di Michieletto trova efficaci soggetti nei magnifici interpreti, tutti, nessuno escluso. Richard Croft, che ha già cantato nel ruolo sotto le bacchette di Marc Minkowski e di Jérémie Rhorer, porta in Idomeneo tutta la sensibilità e la vulnerabilità del personaggio con la sua voce non potente ma piena di musicalità e precisa nelle agilità. Gaëlle Arquez è del tutto credibile nelle fattezze adolescenziali di Idamante e vocalmente stupisce per la tenerezza e intensità dell’espressione. Sophie Karthäuser è perfettamente a suo agio sia nelle agilità che nei passaggi più drammatici della parte di Ilia. Elettra, fashion victim che arranca nella sabbia con le scarpe a stiletto, mean girl di Creta e personaggio “esagerato”, trova in Marlis Petersen l’interprete ideale per doti attoriali e vocali. Julien Behr dà piena efficacia al personaggio di Arbace mentre Mirko Guadagnini è un autorevole ed elegante gran sacerdote.

Per questo suo spettacolo al Theater an der Wien Damiano Michieletto è stato premiato a Vienna quale “Miglior Regista” della stagione.

Idomeneo

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★★★★★

«Il gran maestro di lancia Idomeneo» («Ἰδομενεὺς δουρικλυτὸς ἡγεμόνευεν», Iliade libro II, v. 645), nella traduzione del Monti. Così viene definito da Omero uno dei re della Grecia andati a combattere contro Troia. Idomeneo è tra quelli che si nascondono nel ventre del cavallo di legno. È re di Creta ed è tra i più valorosi combattenti nonostante i suoi capelli grigi.

Il suo nome appare 49 volte nell’Iliade e 6 volte nell’Odissea dove si legge che: «… in Creta | Rimenò Idomeneo quanti compagni | Con la vita gli uscir fuori dell’arme: | Un sol non ne inghiottì l’onda vorace» (Odissea Libro III, trad. Pindemonte). Ed è proprio durante una tempesta di mare che il re cretese promette incautamente a Poseidone di sacrificargli il primo umano che avesse incontrato sulla spiaggia. Ma la prima persona che vede è il figlio Orsilocho. Così narra la leggenda accolta anche da Virgilio nel III Libro dell’Eneide.

La prima importante opera moderna sulla figura del mitico eroe greco è di Prosper Jolyot de Crébillon che nel 1705 mette in scena con gran successo alla Comédie-Française Idoménée, tragedia in versi in cinque atti. Qui il figlio si chiama Idamante ed è rivale del padre per l’amore di Érixène. Tutta la pièce è un susseguirsi di languide conversazioni amorose e rimbrotti reciproci tra padre e figlio. C’è sì una scena di tempesta di mare in cui «Neptune en courroux à tant de malheureux | N’offrait pour tout salut que des rochers affreux» (Nell’ira sua, Nettuno, a questi disgraziati | non offriva in salvezza che scogli acuminati), ma qui non c’è alcuna offerta sacrificale. Con lo stesso titolo è il libretto di Antoine Danchet messo in musica da André Campra nel 1712. La sua tragédie en musique in un prologo e cinque atti è la fonte da cui viene tratto il testo in italiano del cappellano di corte padre Giambattista Varesco, Idomeneo re di Creta ossia Ilia e Idamante.

L’opera fu commissionata a Mozart dal principe elettore Carlo Teodoro di Baviera nel 1780, per farla rappresentare in forma privata al Teatro Cuvilliés, il teatro di corte di Monaco nella stagione di carnevale dell’anno successivo. Autore del libretto fu Giambattista Varesco, cappellano di corte dell’arcivescovo di Salisburgo. La composizione fu laboriosa e comportò numerose modifiche a causa della prolissità del libretto, secondo quanto riferì lo stesso Mozart. La prima rappresentazione ebbe luogo il 29 gennaio 1781. Mozart era preoccupato per la resa degli interpreti: temeva in particolare che il castrato Dal Prato non arrivasse a finire l’aria e definì Anton Raaff, il tenore che interpretava Idomeneo, «una statua». Fu invece soddisfatto dell’orchestra di Mannheim, che trovò favolosa, soprattutto i fiati, e per la quale aveva composto una partitura di straordinaria ricchezza timbrica, che per un’altra orchestra sarebbe risultata difficilmente eseguibile.

Sfrondato il numero di personaggi, portati a tre i cinque atti e modificato il finale, il nucleo della storia rimane sì lo strazio del re cretese e del suo voto insano, ma qui si aggiungono umane e toccanti storie di affetti incrociati (1). Il libretto del Varesco narra del ritorno del re di Creta dopo la guerra di Troia che, come dice nella sua disinvolta ortografia il libretto origina­le «fù non lungi dal porto di Sidone sorpreso da sì fiera tempe­sta, che vinto dal timore, fece voto à Nettuno di sacrificargli il primo qualsiasi Uomo, che sarà per incontrare al suo sbarco sul lido, qualora Egli ottenga per se, e per la sua Gente lo scampo dall’imminente naufragio».

Il Varesco sorvola prudentemente sulla pericolosa passione di Idomeneo per Ilia (che è la sua preda di guerra), ma complica l’intrigo amoroso introducendo il personaggio di Elettra. La figlia di Agamennone, dopo i noti fatti che hanno portato all’uccisione della madre Clitennestra, si è rifugiata a Creta dove si è innamorata di Idamante, il quale ama invece Ilia, figlia di Priamo, il re di Troia.
Atto I. Dopo la caduta di Troia, Idomeneo, re di Creta, torna in patria dal figlio Idamante, ma la sua flotta in prossimità dell’isola è colta dalla tempesta. Vinto dal timore, Idomeneo fa voto a Nettuno di sacrificargli il primo uomo che incontrerà non appena giunto a terra. Lacerata tra l’amore per un nemico e l’onore di principessa troiana, Ilia respinge Idamante che, informato dell’imminente arrivo del padre, libera i prigionieri troiani e dichiara a Ilia il suo amore. Elettra, a sua volta, accusa Idamante di proteggere il nemico e di oltraggiare tutta la Grecia. Frattanto giunge Arbace, confidente del re, a portare la falsa notizia che Idomeneo è annegato dopo un naufragio. Idamante allora si ritira in preda al suo dolore, mentre Elettra sfoga la sua disperata gelosia, pensando che ormai Idamante, divenuto il nuovo sovrano, sposerà Ilia. Dalla spiaggia si scorge la flotta di Idomeneo sul mare in burrasca e si odono le grida dell’equipaggio. Idamante, figlio di Idomeneo, si reca sulla spiaggia, avvisato erroneamente del naufragio del padre. Idamante è il primo uomo che il padre incontra sulla spiaggia. I due non si riconoscono, a causa della lunga assenza di Idomeneo, se non in seguito e Idomeneo inorridisce quando scopre che il giovane incontrato è suo figlio Idamante: preso dal terrore, fugge e gli vieta di seguirlo. Idamante esprime profondo stupore per il comportamento del padre. Intermezzo, articolato in due episodi: una marcia dei soldati rientranti in patria e un coro inneggiante a Nettuno.
Atto II. Idomeneo confessa ad Arbace l’orribile voto che ha fatto per salvarsi la vita. Arbace gli suggerisce, per sottrarsi al suo terribile voto, di inviare Idamante con Elettra ad Argo; ma Idomeneo sospetta che Idamante e Ilia si amino. Elettra manifesta la sua gioia sentendosi ormai prossima a realizzare il suo desiderio più ardente. Al momento della partenza Idomeneo esorta il figlio ad affrettarsi verso Argo, però, Nettuno scatena una nuova tempesta e dal mare si leva un orribile mostro. Il re grida il suo sdegno a Nettuno, gridandogli di prendersela solo con lui, non con tutta Creta. Il popolo, spaventato alla vista del mostro, si rifugia dentro Sidone.
Atto III. Ilia affida ai venti il suo messaggio d’amore per Idamante che le dichiara di essere deciso a cercare la morte combattendo il mostro e Ilia, commossa, gli confida il suo amore. Giungono Idomeneo ed Elettra e, ancora una volta, il re ordina al figlio di lasciare Creta per sottrarsi alla morte. Arbace annuncia che il popolo vuole che Idomeneo confessi il suo segreto, e lamenta il destino della città. Il Gran Sacerdote sollecita il re a compiere il voto e chiede il nome della vittima e il re pronuncia il nome del figlio. Inizia il rituale del sacrificio, ma giunge Arbace ad annunciare che Idamante ha ucciso il mostro. Il principe ora sa tutto e si dichiara pronto a morire, ma, nel momento in cui Idomeneo sta per colpirlo, Ilia si precipita tra le sue braccia e si offre come vittima al posto dell’uomo che ama. All’improvviso si sente la voce dell’Oracolo di Nettuno: Idomeneo deve rinunciare al trono in favore di Idamante che sposerà Ilia e poi regnerà in luogo del padre. Elettra, furente, impreca e poi fugge. Idamante viene incoronato tra cori e danze.

Nonostante l’apprezzamento del pubblico della corte di Monaco, negli anni seguenti Idomeneo non conobbe tuttavia che una sola ripresa, quando il 13 marzo 1786 fu rappresentato privatamente in forma di concerto diretto dal compositore a Vienna, nel palazzo del principe Auersperg. Per l’occasione, oltre all’apporto di diversi tagli e alla sostituzione di alcuni numeri della partitura originale con altri composti ex novo, Mozart dovette riscrivere per tenore la parte di Idamante. Questo comportò una ridistribuzione vocale negli ensemble dell’opera. (1)

Nell’occorrenza del 250° anniversario della nascita di Mozart (1756-2006) la DECCA si dedica all’impegnativa impresa di registrare su video a Salisburgo le rappresentazioni di tutte le opere del suo insi­gne concittadino. Nasce così il progetto M22 su 33 dvd. Non tutte le produzioni sono allo stesso livello, ma questo Idomeneo è forse la migliore fra tutte. Messo in scena dai coniugi Herrmann con molta intelligen­za, il buon risultato della produzione è sostenuto anche da un ot­timo cast di interpreti. Ramón Vargas e Magdalena Kožená, ri­spettivamente padre e figlio, si dimostrano grandi specialisti di questo repertorio e ottimi atto­ri, ma è l’Elettra di Anja Harteros a rubare la scena e viene giustamente salutata dal pubblico di Salisburgo da un lunghissimo applauso a scena aperta dopo la sua ultima aria. Con il suo abito d’alta moda – prima rosso fuoco e poi al terz’atto viola con guarnizioni di aculei d’istrice – non è la furia isterica cui ci hanno abituato molte prima di lei, ma una donna sincera­mente innamorata e dolente per il suo sentimento non corrisposto. La Harteros è superba sul piano vocale e molto convincen­te su quello dram­matico.

Alla guida della Camerata Salzburg c’è Sir Roger Arthur Carver Norrington, uno specialista della prassi filologica che però non rinun­cia alla verve e alla drammaticità nei momenti giusti. La scena, minimalista ma efficace degli Herrmann, si esten­de a inglobare la fossa orchestrale che viene così incorniciata da passerelle lumi­nose sui quattro lati che permettono agli inter­preti di avvicinarsi molto al pubblico con un effetto di maggior partecipazione. Bellissime le luci ed ec­cezionale l’acustica del tea­tro che permette agli interpreti di cantare con la spalle al pubbli­co senza problemi. Inquietante e sinistra la figura in scena di un Nettuno muto, nelle vesti dell’attore Andreas Schlager, vero deus ex machina assetato di sangue. Ma sono molti i momenti di grande teatro raggiunto dalla regia come il finale del second’atto, dove è palpa­bile il terrore del «mostro spietato» ottenuto con mezzi semplici, ma teatralmente estremamente efficaci. Eccellente la regia video di Thomas Grimm. Immagine e au­dio perfetti grazie anche alla distribuzione su due dischi.

(1) Ecco lo schema delle due versioni:

Versione di Monaco (1781)
Atto primo
Recitativo accompagnato Quando avran fine omai
N. 1 Aria Padre, germani, addio! (Ilia)
N. 2 Aria Non ho colpa (Idamante)
N. 3 Coro Godiam la pace
Recitativo Or sì dal cielo (Idamante, Ilia)
Recitativo Estinto è Idomeneo
N. 4 Aria Tutte nel cor vi sento (Elettra) attacca:
N. 5 Coro Pietà! Numi, pietà attacca:
Pantomima e Recitativo Eccoci salvi alfin (Idomeneo)
Recitativo Oh, voto insano
N. 6 Aria Vedrommi intorno l’ombra dolente (Idomeneo)
Recitativo Spietatissimi Dei! (Idomeneo, e Idamante)
N. 7 Aria Il padre adorato (Idamante)
Intermezzo
N. 8 Marcia
N. 8a Ballo delle donne Cretesi
N. 9 Coro Nettuno s’onori
Atto secondo
N. 10a Aria Se il tuo duol (Arbace)
N. 11 Aria Se il padre perdei (Ilia)
Recitativo Qual mi conturba i sensi
N. 12 Aria Fuor dal mar (Idomeneo)
Recitativo Chi mai del mio provò piacer più dolce?
N. 13 Aria Idol mio, se ritroso (Elettra) attacca:
N. 14 Marcia Odo da lunge armonioso suono (Elettra)
N. 15 Coro Placido è il mar, andiamo (Elettra, Coro)
N. 16 Terzetto Pria di partir, oh Dio! (Elettra, Idamante, Idomeneo) attacca:
N. 17 Coro Qual nuovo terrore attacca:
Recitativo Eccoti in me, barbaro Nume! (Idomeneo)
N. 18 Coro Corriamo, fuggiamo
Atto terzo
Recitativo Solitudini amiche e
N. 19 Aria Zeffiretti lusinghieri (Ilia) attacca
Recitativo Ei stesso vien (Ilia)
Recitativo Odo?
N. 20a Duetto S’io non moro a questi accenti (Idamante, Ilia)
Recitativo Cieli! che vedo?
N. 21 Quartetto Andrò ramingo e solo (Ilia, Elettra, Idamante, Idomeneo
Recitativo Sventurata Sidon
N. 22 Aria Se colà ne’ fati è scritto (Arbace)
N. 23 Recitativo Volgi intorno lo sguardo (Gran Sacerdote, Idomeneo
N. 24 Coro Oh voto tremendo! attacca:
N. 25 Marcia
N. 26 Cavatina con coro Accogli, oh re del mar (Idomeneo, Sacerdoti)
N. 27 Recitativo Padre, mio caro padre (Idamante, Idomeneo, Ilia, Gran Sacerdote, Elettra)
N. 28 La voce Idomeneo cessi esser re
N. 29 Recitativo Oh ciel pietoso! (Idomeneo, Idamante, Ilia, Arbace, Elettra)
N. 30 Coro Scenda Amor, scenda Imeneo
N. 31 Balletto (KV 367) in re maggiore

Versione di Vienna (1786)
Ouverture
Atto primo
Recitativo [accompagnato] Quando avran fine omai
N. 1 Aria Padre, germani, addio! (Ilia)
N. 2 Aria Non ho colpa (Idamante)
N. 3 Coro Godiam la pace
Recitativo Or sì dal cielo (Idamante, Ilia)
Recitativo Estinto è Idomeneo
N. 4 Aria Tutte nel cor vi sento (Elettra) attacca:
N. 5 Coro Pietà! Numi, pietà attacca:
Pantomima e Recitativo Eccoci salvi alfin (Idomeneo)
Recitativo Oh, voto insano
N. 6 Aria Vedrommi intorno l’ombra dolente (Idomeneo)
N. 7 Aria Il padre adorato (Idamante)
Intermezzo
N. 8 Marcia
N. 8a Ballo delle donne Cretesi
N. 9 Coro Nettuno s’onori
Atto secondo
N. 10 Aria Non temer, amato bene (Idamante)
N. 11 Aria Se il padre perdei (Ilia)
Recitativo Qual mi conturba i sensi
N. 12 Aria Fuor dal mar (Idomeneo)
Recitativo Chi mai del mio provò piacer più dolce?
N. 13 Aria Idol mio, se ritroso (Elettra) attacca:
N. 14 Marcia Odo da lunge armonioso suono (Elettra)
N. 15 Coro Placido è il mar, andiamo (Elettra, Coro)
N. 16 Terzetto Pria di partir, oh Dio! (Elettra, Idamante, Idomeneo) attacca:
N. 17 Coro Qual nuovo terrore attacca:
Recitativo Eccoti in me, barbaro Nume! (Idomeneo)
N. 18 Coro Corriamo, fuggiamo
Atto terzo
Recitativo Solitudini amiche
N. 19 Aria Zeffiretti lusinghieri (Ilia) attacca:
Recitativo Ei stesso vien (Ilia)
Recitativo Odo?
N. 20b Duetto Spiegarti non poss’io (Idamante, Ilia)
Recitativo Cieli! che vedo?
N. 21 Quartetto Andrò ramingo e solo (Ilia, Elettra, Idamante, Idomeneo)
Recitativo Sventurata Sidon!
N. 22 Aria Se colà ne’ fati è scritto (Arbace)
N. 23 Recitativo Volgi intorno lo sguardo (Gran Sacerdote, Idomeneo)
N. 24 Coro Oh voto tremendo! attacca:
N. 25 Marcia
N. 26 Cavatina con coro Accogli, oh re del mar (Idomeneo, Sacerdoti)
N. 27 Recitativo Padre, mio caro padre (Idamante, Idomeneo, Ilia, Gran Sacerdote, Elettra)
N. 27a Aria No, la morte (Idamante)
N. 28a La voce Idomeneo cessi esser re
N. 29 Recitativo Oh ciel pietoso! (Idomeneo, Idamante, Ilia, Arbace, Elettra)
N. 29a Aria D’Oreste, d’Aiace (Elettra)
N. 30 Recitativo Popoli, a voi l’ultima legge
N. 30a Aria Torna la pace (Idomeneo)
N. 31 Coro Scenda Amor, scenda Imeneo

  • Idomeneo, Harding/Bondy, Milano, 7 dicembre 2005
  • Idomeneo, Jacobs/Michieletto, Vienna, 13 novembre 2013
  • Idomeneo, Bondi/Livermore, Valencia, 1 maggio 2016
  • Idomeneo, Currentzis/Sellars, Salisburgo, 27 luglio 2019
  • Idomeneo, Caridys/Romero Nunes, Monaco, 24 luglio 2021
  • Idomeneo, Pichon/Miyagi, Aix-en-Provence, 8 luglio 2022