Franco Donatoni, Alfred, Alfred
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Giovanni Battista Pergolesi, La serva padrona
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Reggio Emilia, Teatro Ariosto, 24 maggio 2024
(diretta streaming)
Intermezzi buffi distanti 260 anni
Una sorta di complementarietà lega queste due opere in questo insolito abbinamento ora in scena a Reggio Emilia. La serva padrona lanciò a metà del ‘700 il genere dell’intermezzo, il precursore dell’opera buffa, su scala europea. Alfred, Alfred è sottotitolata “intermezzo”, nome scelto da Donatoni per sottolineare il potenziale farsesco di una vicenda banale che svolta nel surreale, e questo in un momento in cui la buffoneria nel teatro musicale alla fine del XX secolo non era proprio in primo piano.
Anche la distanza nel linguaggio musicale tra le due opere nasconde corrispondenze nei modi in cui ciascuna evoca la caricatura e l’ironia: la viscosa morbidezza degli archi di Pergolesi trova corrispondenza nello stridente tintinnio asimmetrico di Donatoni, un compositore talmente rigoroso da sembrare anni luce distante dal genere buffo.
Alfred, Alfred è la seconda esperienza teatrale di Donatoni dopo Atem (Teatro alla Scala, 1984) e nasce da un’esperienza autobiografica dello stesso compositore. Rappresentata al Festival “Musica” di Strasburgo nel 1995, ripresa a Parigi e a Nanterre nel 1998 e poi nel 2014 assieme a Gianni Schicchi a Spoleto e in varie città italiane, il protagonista dell’opera è lo stesso compositore il quale, dal letto di una camera d’ospedale perché colpito da una crisi diabetica nel 1992, assiste in silenzio ad un susseguirsi continuo di avvenimenti surreali che si prestano a tragicomiche riflessioni sulla vita. Un viaggio sospeso tra la surrealtà delle visioni di un malato e la realtà della vita ospedaliera popolata da infermieri spaventose, strani dottori, ancor più strani visitatori.
Suddiviso in sei scene e sei intermezzi, il libretto, dello stesso Donatoni, parte dai dialoghi della quotidianità ospedaliera con il paziente a letto. L’ensemble ha una dimensione ridotta ed ha la caratteristica di una forte presenza di strumenti a pizzico quali chitarra, mandolino e clavicembalo, che donano una connotazione settecentesca alle musiche. Spesso un solo strumento solista accompagna i cantanti: una donna (Tosca Fosca la Formosa) che parla del latte e invece porta al malato del pesce fritto duetta con un flauto in sol; un fagotto con un parente fumatore di pipa; una tromba in scena una visitatrice che porta notizie poco confortanti per il malato: «Anche tuo fratello è stato ricoverato per coma diabetico. È molto grave, dicono che non se la caverà». Il linguaggio musicale è quello dell’avanguardia del tempo ironicamente farcito di citazioni musicali (Verdi, Stravinskij, Wagner, Bellini…) e una vocalità espressionista dove ogni parola, ogni frase è ripetuta varie volte come nelle opere buffe. Un grottesco concertato, «Il diabete è una burla, ma a me non danno a berla», costituisce il finale.
Cuce assieme le due operine la bacchetta di Dario Garegnani alla testa dell’orchestra Icarus Ensemble, mentre su concezione della Muta Imago, la regista Claudia Sorace e il dramaturg Riccardo Fazi danno vita alle immagini. Nella ideazione della Sorace la corsia d’ospedale è popolata da figure horror e surreali che si affacciano sul malato e i loro volti giganteggiano minacciosi sugli schermi con i video di Maria Elena Fusacchia.
Nella produzione di Spoleto il malato, parte muta, era un gesticolante Paolo Rossi, qui invece è il giovane basso Giuseppe de Luca che dopo l’intervallo vediamo alzarsi dallo stesso letto. Si trattava dunque di un incubo di Uberto, il personaggio de La serva padrona. Dalla corsia di ospedale si passa con continuità all’elegante appartamento con opere d’arte dell’uomo che ha paura di invecchiare, e lo vediamo infatti che si fa iniettare del botulino da Vespone, mentre Serpina in bigodini si dà arie da padrona. «Serpina riesce nell’intento di conquistare Uberto», dice la regista, «proponendogli un altro tipo di mondo, gli impone la sua visione. Infatti quando lei riesce a sposarlo, avviene sulla scena uno stravolgimento temporale. Per questo non apparirà la bella casa borghese ma la famosa immagine di Delacroix della Libertà, per indicare gli anni della rivoluzione, perché i due servi (in scena anche il ruolo muto di Vespone) vogliono rovesciare il mondo. In questo senso la debolezza di Uberto è la debolezza dell’Ancient regime con le fragilità dell’uomo incarnato da Alfred Alfred che non sa vivere».
Anche se azzardato il legame narrativo tra i due lavori distanti 260 anni è ben realizzato e convincente anche grazie alla sciolta presenza scenica dei tanti personaggi della prima parte, ironicamente tratteggiati da film horror, e i tre della seconda, dove si fa notare per freschezza e buona tecnica la giovane Samantha Faina, a suo agio nella musicalità di Pergolesi e nelle variazioni dei dacapo.
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